Entre archéologie et histoire : dialogues sur divers peuples de l’Italie préromaine
E pluribus unum?
Résumé
Le premier volume, consacré aux périodes qui ont précédé la conquête romaine, met ainsi en scène Sabins, Ombriens, Picéniens, Samnites, Campaniens, Lucaniens, Volsques, Falisques, Capénates et Latins au travers des thématiques suivantes : l’émergence des divers ethnè dans les sources écrites, les spécificités culturelles perceptibles pour chacun d’entre eux par le biais de l’archéologie, les liens entre ethnos et territoire et les relations avec les ethnè voisins.
Dans chaque cas, une démarche transdisciplinaire a été confiée à un binôme de chercheurs, l’une de formation plutôt archéologique, l’autre plus historique. L’ensemble de l’équipe, relevant de traditions académiques différentes, a ainsi cherché à vérifier dans quelle mesure ces « feux croisés » aboutissaient à des conclusions analogues ou mettaient au contraire en évidence une série d’images contrastées.
Il progetto «E pluribus unum»? L’Italia dalla diversità preromana all’unità augustea intende fornire in tre volumi un quadro sulle popolazioni dell’Italia centrale antica e sul loro contributo alla formazione dell’«identità incompiuta» della Penisola Italiana in età romana. Ogni volume è frutto di un incontro di studi dedicato ad un preciso periodo di tempo e alle sue problematiche.
Il primo volume, incentrato sulla fase precedente alla conquista romana della penisola, prende in considerazione una selezione di popoli: Sabini, Umbri, Piceni, Sanniti, Campani, Lucani, Volsci, Falisci, Capenati e Latini. Per ciascuno di essi vengono affrontate nel dettaglio le seguenti tematiche: l’emergere dell’ethnos nelle fonti storiche e la possibilità di riconoscere una specificità culturale nelle fonti archeologiche, il legame dell’ethnos con il territorio e i rapporti con le realtà confinanti.
L’analisi, affidata a una coppia di studiosi, uno di formazione più archeologica ed uno più storico, espressioni di diverse tradizioni accademiche europee, ha lo scopo di verificare se questo «fuoco incrociato» porta a conclusioni analoghe o finisce per mettere in risalto una diversa immagine a seconda della prospettiva adottata.
The project «E pluribus unum»? Italy from the pre-Roman fragmentation to the Augustan unity aims to give (thanks to a set of three volumes) a picture of the peoples of ancient pre-Roman central Italy and of the contribution made by them to the formation of the «unaccomplished identity» of the Italian peninsula during the late-Republic and Empire. Each book is the outcome of a conference, dedicated to a specific chronological period and to its problems.
The first volume, centred on the phase preceding the Roman conquest of the peninsula, takes into consideration a selection of peoples: Sabini, Umbri, Piceni, Samnites, Campani, Lucani, Volsci, Falisci, Capenates and Latini. For each of them the following themes are tackled in detail: the emergence of the ethnos in ancient written sources and the possibility of recognizing a cultural specificity in the archaeological record, the link between the ethnos and the territory, and the relationship with the neighbouring ethne.
The peoples are analysed individually each by a couple of scholars, highlighting
Extrait
Table des matières
- Couverture
- Titre
- Copyright
- À propos du livre
- Pour référencer cet eBook
- Table des matières
- Michel Aberson, Maria Cristina Biella, Massimiliano Di Fazio, Manuela Wullschleger: Premessa
- Histoire et imaginaire des anciennes Italies: Maurizio Harari
- Bibliographie
- Addendum
- Latini
- The Latins: historical perspective: Christopher J. Smith
- Bibliography
- I Latini: prospettiva archeologica: Paolo Carafa
- 1. Premessa
- 2. Il territorio dei Latini
- 3. Paesaggi degli abitati e paesaggi urbani
- 4. Paesaggi rurali
- 5. Conclusioni
- Abbreviazioni Bibliografiche
- Falisci et Capenates
- Les Falisques et les Capénates : perspective historique: Dominique Briquel
- Bibliographie
- I Falisci e i Capenati: prospettiva archeologica: Maria Cristina Biella
- La possibilità di riconoscere una specificità culturale nelle fonti archeologiche
- Il legame con il territorio e la sua organizzazione
- I rapporti con gli ambiti culturali confinanti
- Abbreviazioni bibliografiche
- Vmbri
- Gli Umbri: prospettiva storica: Simone Sisani
- Gli Umbri nelle fonti letterarie: un’ambigua immagine
- La prospettiva etnografica antica: pan-umbricità e pan-sabinità
- L’Umbria preromana: tra espansione e contrazione
- Bibliografia
- The Umbrians: archaeological perspective: Simon Stoddart, David Redhouse
- Introduction
- The Gubbio model
- The Gualdo Model
- The Etruscan enclave
- The Todi model
- The Assisi, Spello, Nocera Umbra and Spoleto models
- The Colfiorito model
- The Terni model
- The Amelia model
- Conclusions
- Bibliography
- Sabini
- The Sabines: historical perspective: Christopher J. Smith
- Bibliography
- I Sabini: prospettiva archeologica: Enrico Benelli
- Bibliografia
- Picentes
- I Piceni: prospettiva archeologica: Alessandro Naso
- Il quadro geografico
- Le origini
- Territorio e forme di popolamento
- Dall’età del Ferro al periodo arcaico
- Dal V al IV secolo a. C.
- Dall’invasione celtica alla conquista romana
- Abbreviazioni bibliografiche
- Ombriens, Sabins, Picéniens, peuples sabelliques des Abruzzes : une enquête historique, épigraphique et linguistique: Michel Aberson, Rudolf Wachter
- I. Introduction
- II. L’étude du matériel épigraphique
- 1. Problèmes d’identification des langues et des alphabets
- 2. Analyse chronologique du matériel épigraphique (fig. 2–8)
- 3. Les mentions d’éthnonymes et/ou de politonymes dans les documents épigraphiques (fig. 9–10)
- 4. Attestations épigraphiques du vocabulaire institutionnel de l’État (fig. 11)
- III. Synthèse
- Bibliographie
- Samnites
- Les Samnites : perspective historique: Stéphane Bourdin
- Bibliographie
- I Sanniti: prospettiva archeologica: Gianluca Tagliamonte
- Abbreviazioni bibliografiche
- Volsci
- I Volsci: prospettiva storica: Massimiliano Di Fazio
- 1) L’emergere dell’ethnos nelle fonti storiche
- a) La tradizione annalistica
- b) La presenza sul territorio
- c) Aspetti culturali
- 2) Il legame tra l’ethnos e il territorio
- 3) I rapporti con gli ethne confinanti
- Finale: una identità etnica?
- Bibliografia
- I Volsci: prospettiva archeologica: Marijke Gnade
- L’acropoli di Satricum
- Conclusioni
- Abbreviazioni bibliografiche
- Campani
- I Campani: prospettiva storica: Alessandro Pagliara
- Bibliografia
- I Campani: prospettiva archeologica: Luca Cerchiai
- Il sistema dei culti
- Il sistema della pianura
- La sannitizzazione della Valle del Sarno e della mesogeia
- La romanizzazione
- Abbreviazioni bibliografiche
- Lucani
- The Lucanians: historical perspective: Edward Bispham
- Oinotrians and others
- Oinotrian ethnothanatos and Lucanian ethnogenesis
- The Other Lucanians
- (The) Lucanians
- Conclusions
- Bibliography
- The Lucanians: archaeological perspective: Elena Isayev
- Background and Regional Context
- The dynamism of the 4th century
- All change in the 3rd century BC
- Contextualising Dynamism
- Accounting for Dynamism
- Bibliography
- Conclusioni: Mario Torelli
Questo libro nasce nel seno del progetto «E pluribus unum»? L’Italia dalla diversità preromana all’unità augustea che vorrebbe avere la finalità di mettere a disposizione degli studiosi un quadro ampio, aggiornato e critico sulle popolazioni dell’Italia centrale antica e sul loro contributo alla formazione dell’«identità incompiuta» – per usare la definizione di Andrea Giardina – della Penisola Italiana in età romana.
Per raggiungere questo obiettivo, si è pensato di organizzare una serie di tre incontri di studio, ognuno dei quali destinato ad indagare un preciso periodo di tempo e le problematiche ad esso connesse.
Il primo momento d’incontro, da cui è scaturito il presente volume, si è tenuto dal 31 gennaio al 2 febbraio 2013 presso l’Université de Genève e la Fondation Hardt pour l’Étude de l’Antiquité Classique a Vandœuvres (Cantone di Ginevra) ed è stato incentrato sulla parte più antica della vicenda, quella precedente alla conquista romana della penisola.
Il secondo appuntamento è previsto dal 21 al 25 ottobre 2014 a Roma e vedrà coinvolti l’Istituto Svizzero di Roma, il Koninklijk Nederlands Instituut Rome, la British School at Rome e l’École française de Rome. Questo secondo convegno sarà dedicato al delicato e complesso tema della «romanizzazione», dunque a quel percorso tutt’altro che univoco che portò le culture italiche ad entrare a far parte dell’articolato mosaico che definiamo «cultura romana».
Concluderà infine il ciclo l’incontro della primavera 2016 presso la University of Oxford, che sarà incentrato su quello che con un’espressione impropria potremmo definire – ovviamente da una «prospettiva italica» – la «fine della storia», ovvero a come le popolazioni assoggettate finirono per essere assimilate, ricordate e raccontate nel corso della storia di Roma imperiale.
Per entrare nello specifico del primo convegno e quindi del presente libro, crediamo sia opportuno soffermarsi brevemente su alcune questioni di metodo.
La struttura del volume risente pienamente di quella scelta per l’incontro di studi del 2013, che, al di là della tematica da affrontare, partiva da un presupposto: l’affievolimento del dialogo tra due settori disciplinari. Ci si riferisce a quel fruttuoso dialogo tra archeologia e storia che si era avviato alcuni decenni fa, e che tra l’altro aveva portato alla nascita di un importante centro di discussione come quello che in Italia ruotava intorno alla rivista Dialoghi di archeologia. Ci è sembrato che negli ultimi tempi questo dialogo si fosse, se non interrotto, quantomeno allentato, oltre ad essere declinato in modi molto diseguali nelle diverse tradizioni accademiche. Ecco dunque una delle intenzioni che stava alla base di questo incontro: la volontà di riavviare la discussione e il confronto tra questi due ambiti.
A questo fine si è pensato ad un esperimento intellettuale, che i relatori, che hanno accolto l’invito a partecipare all’incontro di studio, hanno «messo in scena».
Uno dei problemi da affrontare era quello della selezione delle popolazioni. Ci era chiaro come fosse impossibile pensare di trattare nel dettaglio ← 1 | 2 → il complesso mosaico dell’Italia preromana e d’altro canto non era questo lo scopo dell’incontro di studi. Si è dovuta pertanto procedere di necessità a una scelta, pienamente consci del rischio a cui si andava incontro.
Potrebbe, ad esempio incuriosire il lettore, anche solo sfogliando l’indice del volume, la vistosa assenza tra i casi-studio trattati, degli Etruschi. Crediamo che sia quasi scontato ricordare come negli studi dell’ultimo secolo VI sia stata una netta – e per certi versi comprensibile – pre-dominanza dell’attenzione nei loro confronti. Solo da qualche decennio ci sembra che cominci ad emergere un rinnovato interesse nei riguardi degli altri numerosi popoli che hanno in ultima analisi contribuito in maniera significativa alla formazione dell’Italia romana. Di questi abbiamo tuttavia ancora una visione non solo incompleta, per via delle informazioni sempre inferiori a quanto vorremmo, ma anche piuttosto sfocata.
La scelta pertanto è caduta su quelle popolazioni che, almeno a nostro modo di vedere, potessero rispondere al meglio ai quesiti che era nostra intenzione porre ai relatori.
Per ogni popolazione si è così individuata una coppia di studiosi, uno di formazione più archeologica ed uno di formazione più storica, ed abbiamo chiesto loro di lavorare in collaborazione, partendo ognuno dalla propria prospettiva su temi specifici, per verificare se questo «fuoco incrociato» portasse a conclusioni analoghe o finisse piuttosto per mettere in risalto una diversa immagine a seconda della prospettiva adottata. Ai relatori si è chiesto di porre l’accento in particolar modo su tre aspetti:
–l’emergere dell’ethnos nelle fonti storiche e la possibilità di riconoscere una specificità culturale nelle fonti archeologiche;
–il legame tra l’ethnos e il territorio (organizzazione territoriale, rapporti centro-periferia, …);
–i rapporti con gli ethne confinanti.
Ci incuriosiva in particolar modo come avrebbero risposto a queste domande gli studiosi invitati, volutamente espressioni di diverse «anime» e tradizioni accademiche. Crediamo infatti che sia indubbia la tendenza nel corso degli ultimi decenni allo sviluppo di differenti approcci di ricerca nei diversi paesi europei, approcci che spesso dialogano poco, quasi parlassero davvero lingue diverse.
Abbiamo poi pensato di chiedere a due studiosi di racchiudere in un’ampia cornice, sospesa tra passato e presente, i contributi presentati e discussi nelle giornate di studio. A Maurizio Harari si è così chiesto di affrontare il tema di come le popolazioni italiche fossero state percepite nel corso dei secoli, in un periodo che grossomodo copre dal XVIII agli inizi del XX secolo e a Mario Torelli di tracciare un quadro critico conclusivo del nostro esperimento.
Abbiamo pensato che organizzare un colloquio di questo tipo, vocato fortemente al plurilinguismo culturale (e, almeno nei nostri intenti, accademico), in Svizzera (in un certo senso terra di mezzo da più punti di vista) potesse avere un senso particolare. La Fondation Hardt ci è parsa subito il posto giusto. Ma la scelta è caduta proprio sulla Fondation anche per la forte disposizione al dialogo e alla discussione che caratterizza questo luogo, e che trova eccellente esempio nell’esperienza degli Entretiens, che – ci piace ricordare – sono tra i pochi atti di convegni che mantengono la tradizione di pubblicare anche i testi delle discussioni che seguono le relazioni. Tradizione che, come noto, caratterizzava anche quei Dialoghi di Archeologia già ricordati.
Prima di entrare nel vivo della materia vorremmo esprimere i nostri più sentiti ringraziamenti all’Università di Ginevra (in particolare all’Unité d’Histoire ancienne del Prof. P. Sánchez, al Département des sciences de l’Antiquité, alla Faculté des lettres, al Rettorato dell’Università e alla Maison de l’Histoire), che ha sostenuto incondizionatamente sin dall’inizio questo incontro. La realizzazione del progetto ginevrino è stata resa possibile grazie agli importanti contributi del Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica, dell’Accademia svizzera delle Scienze umane e della Société Académique de Genève. Il nostro ringraziamento va anche alla Vereini ← 2 | 3 → gung der Freunde Antiker Kunst e all’Association Suisse pour l’Étude de l’Antiquité, che hanno immediatamente accolto il convegno sotto la loro egida.
Infine rivolgiamo un ringraziamento particolare a tutti i membri del Comitato Scientifico del progetto, che hanno accolto il nostro invito e che ci hanno criticamente e costruttivamente accompagnato in questo esperimento.
Michel Aberson
Maria Cristina Biella
Massimiliano Di Fazio
Manuela Wullschleger
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Histoire et imaginaire des anciennes Italies.
à mon ami Emilio Gabba († 2013)
Vedi, da una parte, l’Italia simile a vasto edificio rovinato dal tempo, dalla forza delle acque, dall’impeto del terremoto : lá un immenso pilastro ancora torreggia intero, qua un portico si conserva ancora per metá; in tutto il rimanente dell’area, mucchi di calcinacci, di colonne, di pietre, avanzi preziosi, antichi, ma che oggi non sono altro che rovine. Ben si conosce che tali materiali han formato un tempo un nobile edificio, e che lo potrebbero formare un’altra volta; ma l’antico non è più, ed il nuovo deve essere ancora. Pure, se tu osservi attentamente e con costanza, ti avvedrai che le pietre, le quali formano quei mucchi di rovine, cangiano ogni giorno di sito; non le ritrovi oggi ove le avevi lasciate ieri; e mi par di riconoscere un certo quasi fermento intestino e la mano di un architetto ignoto che lavora ad innalzare un edificio novello.
[CUOCO 1804–6, chap. 77]
Histoire et imaginaire des anciennes ou (peut-être mieux) des premières Italies : sous ce titre – qui allie la dualité entre histoire et imaginaire, qu’Agnès Rouveret a prêtée à la peinture grecque1, et la « première Italie » d’un livre célèbre de Massimo Pallottino2 – je vais esquisser en quelques lignes une interprétation possible d’un chapitre de Kulturgeschichte pleinement réactualisé par la célébration du centcinquantenaire de l’unité italienne. Il s’agit de la représentation ou mieux des représentations – au pluriel, puisque ‹ pluralité › doit être notre motclé – de l’Italie la plus ancienne (c’est-à-dire de celle qui précède l’unification romaine), qui ont été différemment élaborées par les historiens et les antiquaires entre la fin du XVIIIe siècle et le début du XXe. Celleci comprend la phase du débat, que l’on peut vraiment qualifier de ‹ pluraliste ›, tant avant l’unification politique d’Italie – autour de cette sorte de crête discriminante qu’a été l’époque de Napoléon – qu’au début de l’unité, en excluant cependant tous les développements nationalistes et ‹ romains › de la première moitié du XXe siècle, lesquels ne nous paraissent pas particulièrement intéressants, au moins dans la perspective choisie ici.
Mettant un terme à cette Italie ‹ plurielle ›, le principat d’Auguste en avait en même temps produit une synthèse, qui se révèle dans son onomastique ethnique et sa géographie linguistique : c’était déjà une notion antique, puisque Pline l’Ancien, juste au début de son catalogue des peuples de la Péninsule3, faisait allusion à une discriptio in regiones réalisée par l’empereur lui-même4, une ethnographie régionalisée qui, de l’époque de Flavio Biondo jusqu’à nos jours, constitue la charpente ← 5 | 6 → indispensable de tout essai de transposition historique des témoignages archéologiques de l’Âge du Fer en Italie. Et l’Énéide de Virgile peut être aussi bien conçue comme une récapitulation merveilleuse des nombreuses composantes ethniques d’une Italie primitive, pour laquelle l’arrivée fatale d’un prince étranger aurait catalysé le commencement d’un processus irréversible d’homogénéisation5.
Donc, cette pluralité de l’Italie préromaine était une donnée objective et primaire, qui fut presque toujours assez claire pour les paléoethnologues du XIXe siècle, tant dans la dimension locale de la recherche archéologique menée par les notables et le clergé que dans la discussion scientifique de large impact international de la seconde moitié du siècle, quand les expériences et les découvertes de savants méthodologiquement très au point (de Gastaldi à Strobel, de Chierici à Brizio)6 se mesurèrent au modèle ‹ septentrional › de la diffusion culturelle que Luigi Pigorini était en train d’élaborer dans le contexte significatif d’une unification politique désormais assurée par la maison de Savoie7 : ceux-ci partageaient la conviction que toute typologie devait se rapporter à une faciès archéologique et tout faciès à une identité ethnique. Mais cet aspect de notre sujet ne me paraît pas particulièrement problématique et j’aimerais plutôt concentrer mon attention sur les modalités idéologiques par lesquelles fut représentée la relation entre l’avant et l’après, c’estàdire entre les peuples de l’Italie préromaine et Rome elle-même, dans le contexte d’une perception généralisée (et pas toujours scientifique) du monde ancien.
On sait que la contribution la plus valable à l’histoire des études classiques en Italie au XIXe siècle demeure la grande anthologie rassemblée et commentée par Piero Treves dans la collection de l’éditeur Ricciardi8, et c’est par elle que l’on va inévitablement commencer. Voici quels sont, je pense, les trois aspects les plus caractéristiques de l’interprétation donnée par Treves :
1)La détermination d’un tournant culturel et méthodologique, placé juste à cheval entre les XVIIIe et XIXe siècles, qui aurait conduit du principe de l’imitation de l’Antiquité – absolument central dans une vision panlatine, nostalgique et traditionaliste – à celui de la distinction entre le passé et le présent, s’intéressant également de plus en plus à la grécité : démarche qui est jugée fondamentale pour une approche historiquement correcte du passé et un jugement politique sur le présent9.
2)La perception de l’ambiguïté enracinée dans l’option classiciste ‹ romaine ›, qui au cours du XIXe siècle fut représentée, en Italie et ailleurs en Europe, dans des contextes chronologiques et institutionnels très différents et avec des fonctions idéologiques qui, non seulement n’étaient pas semblables, mais pouvaient même être contradictoires10.
3)Une dévalorisation assez radicale des Sciences de l’Antiquité en Italie immédiatement après l’Unification, à cause de leur progressive « segregazione … dalla storiografia e dalla vita », à l’exception d’une sorte d’heureux dénouement dans l’œuvre de Gaetano De Sanctis, qui fut capable de percevoir dans le siège de Véies par Camille l’incipit de vicissitudes nationales destinées à se terminer, en une totale cohérence, à Porta Pia11. ← 6 | 7 →
Le premier point va nous conduire à prendre aussi en considération, rétrospectivement, quelques tendances des Sciences de l’Antiquité à l’époque de l’Humanisme tardif, dans lesquelles on peut entrevoir des prémisses des idées du XIXe siècle.
Le deuxième point nous invite à historiciser la catégorie du néo-classicisme et à y distinguer les facettes d’une image de l’ancien qui prétend à une sorte d’analyse ‹ stratigraphique ›, dans un pays tel que l’Italie, avec son passé à la fois grec, étrusque, indigène et romain – se mettant d’autant plus en rapport avec des interlocuteurs européens, à leur tour diversement impliqués dans l’évocation prestigieuse de ce même passé.
Le troisième point de la réflexion de Treves signale un phénomène d’involution, typique de la fin du siècle – comme si ce thème de la « première Italie », après l’effective unification politique du pays, avait perdu une grande partie de son charme.
Je pense qu’il sera assez instructif d’établir des démarcations, tant du point de vue chronologique que géographique.
On doit avant tout distinguer entre le début et la fin du XIXe siècle : c’est-à-dire entre une époque où l’on pouvait projeter de nouvelles Italies autant que faire mémoire de l’ancienne, et celle où – l’une des Italies possibles s’étant concrétisée, celle qui avait été unifiée par la maison de Savoie – l’image du passé semblait avoir perdu sa dimension utopique.
Une autre démarcation, à peine au-delà du début du siècle, est celle qu’avait établie le Royaume napoléonien d’Italie qui, bien qu’éphémère (1805–1814), impliqua fort vivement de nombreux intellectuels de cette époque, y compris dans leurs propre vécu. Comme le dit bien Treves12, « la storia che Napoleone faceva sotto i loro occhi » était capable de « trasformare in istorici gli antiquari », donnant de l’authenticité existentielle, hors de toute rhétorique, à leur dialogue, assez souvent contradictoire, avec le monde ancien. Relisons le finale tacitement anti-romain de la célèbre harangue prononcée par Ugo Foscolo à l’Université de Pavie le 22 janvier 1809, avec son exaltation peu banale du couple patriotique des « Étrusques et des Latins », qui pourrait impliquer chez lui quelque connaissance préliminaire de l’œuvre de Micali, L’Italia avanti il dominio dei Romani13, alors sous presse et publiée l’année suivante14 :
Nè la barbarie de’ Goti, nè le animosità provinciali, nè le devastazioni di tanti eserciti, nè le folgori de’ teologi, nè gli studj usurpati da’ monaci, spensero in quest’aure quel fuoco immortale che animò gli Etruschi e i Latini, che animò Dante nelle calamità dell’esilio, e il Machiavelli nelle angosce della tortura, e Galileo nel terrore della inquisizione, e Torquato nella vita raminga, nella persecuzione de’ retori, nel lungo amore infelice, nella ingratitudine delle corti, nè tutti questi nè tant’altri grandissimi ingegni nella domestica povertà15.
L’option néoclassique n’était pas seulement appropriée aux monarchies d’Ancien Régime ou au pouvoir temporel de l’Église, mais également au césarisme post-révolutionnaire bonapartiste; ainsi que, par un contraste oppositif spéculaire, à l’assertion de l’égalité des droits parmi tous les hommes, en France (et aux États-Unis), ou de l’identité nationale dans un milieu germanique qui visait à son auto-représentation comme celle d’une Grèce renouvelée.
La démarcation géographique est celle qui distingue l’Italie du Centre-Nord de celle du Sud et de la Sicile. Dans l’Italie des petits États, l’approche traditionnelle de l’Antiquité, d’ascendance humaniste tardive, avait nourri l’image mythique d’une Rome inéluctablement papale, à l’exception des deux royaumes pré-nationaux, soit la Toscane grand-ducale (devenue ensuite, de façon emblématique, le Royaume d’Étrurie) et le Mezzogiorno des Bourbons. C’est à cette bipolarité que l’on doit donc rapporter la réflexion du XIXe siècle autour de l’italicité primitive, réflexion qui, particulièrement dans la phase qui précède l’unité politique, s’exerçait dans un déséquilibre assez flagrant en faveur du côté centro-septentrional, motivé par ← 7 | 8 → l’objective centralité du binôme Étrusques / Latins dans la tradition historiographique concernant la Rome monarchique et républicaine et par l’importance idéologique que, depuis presque trois siècles, même par intermittence, on donnait justement au thème étrusque, non seulement dans le Grand-Duché, mais également au Vatican16; et motivé encore par l’existence même du royaume napoléonien mentionné précédemment, dont le Mezzogiorno et la Sicile demeuraient séparés.
C’est la raison pour laquelle, à l’idée d’une italicité peu différenciée et principalement étrusque, qui était propre au Centre et au Nord de l’Italie, répondait celle d’une grécité généralisée et uniformisante dans le Royaume de Naples – même après le retour des Bourbons, la parenthèse muratienne désormais fermée; et à l’évidente exception du grand épisode archéologique et romain des antiquités d’Herculanum et de Pompéi.
À l’origine de ces deux courants de géographie culturelle se trouvait l’idée que la Haute-Antiquité préromaine de l’Italie détenait en quelque sorte une autorité sapientiale et pouvait donc proposer un modèle éthico-politique absolument réactualisable. Cette idée, déduite d’un argument linguistique, remonte à Giambattista Vico († 1744) et à son essai De antiquissima Italorum sapientia ex linguae Latinae originibus eruenda17 :
[…] et Architectura ceterarum simplicissima Hetrus-corum, grave argumentum praebet, eos in geometria Graecis priores fuisse. […] Ab Hetruscis autem religiones Deorum, et cum iis locutiones etiam sacras, et pontificia verba Romanos accersisse, constat. Quamobrem certo conjicio ab ea utraque gente doctas verborum origines Latinorum provenisse; et ea de caussa animum adjeci ad antiquissimam Italorum sapientiam exipsius Latinae linguae originibus eruendam18.
Il vaut la peine de rappeler que, presque deux siècles auparavant, une recherche commencée elle aussi sur des sentiers linguistiques – c’est-à-dire autour de la position de l’étrusque dans le tableau post-babélien de la désintégration de la langue unique et parfaite des causeries entre Adam et Dieu le Père – avait déjà abouti au revival d’un savoir religieux originellement ‹ italien ›. Je me réfère ici à l’œuvre bien connue de Guillaume Postel, De Etruriae regionis […] originibus, et à son étrange thèse de la descendance de Noé qui lui avait permis de relier, dans une commune généalogie judéo-tyrrhénienne, la Toscane des Médicis, la Papauté et la monarchie française19. L’exemple de Postel nous montre un emploi dépourvu de tout localisme de ces mêmes contes antiquaires d’Annio et de Giambullari que, beaucoup plus tard, au XVIIIe siècle, des représentants mineurs de l’« étruscomanie » ont voulu relancer, par une étroitesse exégétique totalement désarmante.
Si l’on voulait, aux côtés de Postel pour l’Étrurie, indiquer un autre précurseur possible de Vico pour l’Italie méridionale, on devrait mentionner le médecin salentin Antonio de Ferraris, dit le Galateo, qui, dans son Liber de situ Japygiae, avait très orgueilleusement revendiqué pour son compte la haute valeur éthico-religieuse de la grécité de son peuple :
Moi, je suis Grec, et cela me confère de la gloire (nec pudet nos generis nostri. Graeci sumus, et hoc nobis gloriae accedit) […] Moi, le Galateo, je ne descends pas des Gaulois : ni des Morins, ni des Lingons, ni des Allobroges, ni des Sicambres, mais au contraire des Grecs. Mon père connaissait très bien les Lettres grecques et les latines. Mon grand-père et mes autres ancêtres ont été des prêtres grecs pourvus de connaissances approfondies sur la littérature grecque […] et leur renom n’était pas fondé sur leur adresse aux armes […] mais sur la probité de leurs mœurs20.
Néanmoins, Vico a réussi à échapper à ces représentations partielles de la prisca sapientia – sans ← 8 | 9 → la Grèce l’ancien savoir de Postel; sans indigènes celui du Galateo – en ramenant son origine en Italie, à une époque entièrement préhistorique, ‹pélasgienne›, précoloniale, allant jusqu’à prêter au pythagorisme lui-même des racines italiques, antérieures à son assomption par la culture de la Grande-Grèce.
De toute évidence, le roman épistolaire et philosophique de Vincenzo Cuoco († 1823), Platone in Italia, procède de cette thèse21 : on y conte comment un jeune homme nommé Cléobole, voyageant en Italie, avait discuté avec son grand maître Platon des caractères de la civilisation ‹ italienne › des Samnites et des Étrusques. Comme pour Vico, le cœur de la question concerne une perspective de recherche qui est en même temps philosophique et linguistique :
Io ritrovo la filosofia di Pittagora nella lingua che parlano gli abitatori dell’interno dell’Italia, i quali al certo non han potuto discendere dalle colonie nostre, quali si dicono essere Taranto, Crotone, Sibari. La lingua, che parlano questi italiani, non ha al certo veruna origine greca.
Nel linguaggio di questi popoli il vero non è altro che il fatto : non VI è altro carattere della veritá che l’essere; non VI è altra dimostrazione che il fare22.
Pour Cuoco, la qualité principale des Samnites – qui avaient déjà été de très appréciés antagonistes des Romains dans le Saggio sopra l’antica storia de’ primi abitatori d’Italia, de Giuseppe M. Galanti23 – est justement de nature philosophique : « questi montagnari l’hanno la filosofia, ma nel sangue », bien que leur « esposizione » soit « disordinata » et leur « stile rozzo, irto, che sente ancora tutta la barbarie ciclopica de’ nostri padri »24. Ce qui équivalait, en termes historico-existentiels, à tirer leur « forza » et leur « felicità dalla virtù e dall’agricoltura », celle-ci étant un travail intrinsèquement éthique, donc ‹ philosophique ›. Dans ce sens il faut souligner le refus radical de l’esclavagisme, qui avait été une cause fondamentale de défaillance dans le système économique des Athéniens :
E noi ateniesi che facciamo ? Noi ce ne stiamo tutto il giorno nel fòro e nel Pireo, e lasciamo la cura delle nostre terre agli schiavi […].
Io incomincio a vedere che l’agricoltura non sarà mai perfetta in un popolo se non quando gli stessi proprietári delle terre saranno agricoltori25.
La supériorité de Rome sur le monde italique échappe à son tour à toute discussion – ainsi qu’on l’imagine reconnu par le samnite Pontius dans une lettre adressée à Archytas de Tarente – à cause de la faiblesse de toute entente confédérale comparée à la « disciplina » de l’armée d’un état unitaire : « Roma è più forte di noi, perché Roma è una e noi siam molti […] e tanti Sanniti non formano un Sannio »26. On doit souligner l’antifédéralisme manifeste de Cuoco qui, du reste, était bien loin d’être antiromain, au contraire notamment de Micali, lequel se ralliait au même préjugé philoitalique27.
Fondamental est à notre avis le chapitre du Platon où Cléobole développe la pensée du philosophe pythagoricien Ocellos le Lucanien, qu’il prétend avoir apprise à Capoue en discutant avec ses descendants, afin de donner une démonstration pleinement systématique de la très haute antiquité des indigènes de l’Italie et de leur patrimoine sapiential, considéré comme préhellénique et remontant à une unité linguistique et religieuse bien antérieure à la Guerre de Troie, c’est-à-dire préhistorique, qui s’étendait « dallo Scamandro alle Alpi » :
Sei tu mai stato in Sicilia, ed hai vista quell’Etna, della quale i tuoi poeti dicono che un gigante fulminato da Giove sostenga il peso sull’incommensurabile sterno, e vomiti e fuoco e fiamme e vortici immensi di lurido fumo ? […].
Or sappi che, dal lato appunto in cui sovrasta a Catania, i tempi hanno aperto il suo fianco, e l’occhio del passaggiero osserva ottanta strati, accatastati l’un ← 9 | 10 → sopra l’altro, di quel vetro liquido che il monte erutta a torrenti ne’ momenti del suo furore, e che, esposto all’aria, si rapprende e s’indura qual sasso […] Accumula questi secoli, e vedi, per Giove, quanto tempo l’Etna ha dovuto esistere prima che quel menzognero di Esiodo ci narrasse la storia della guerra tra Giove ed i figli della terra ! […]28.
Ti son noti quei monti che fanno ala al mare di Salerno e di Velia ? Le cime son seminate di pesci e conchiglie cangiate in pietra […].
Or non credi tu che quelle isole sieno state le prime ad essere abitate, e che la stirpe de’ popoli italiani si debba derivare da quegli uomini che hanno abitato i primi le alte cime de’ nostri monti ? […].
Molti de’ vostri maggiori, non lo nego, son venuti a stabilirsi in Italia ed in Sicilia, ma ben tardi, e quando giá si eran moltiplicate le antiche nazioni indigene, che da lungo tempo prima aveano abitati li nostri monti […].
Al contrario, rifletti alle tradizioni nostre, e vedi una genealogia, la quale incomincia dalle montagne dell’occidente e va a finire nella Sicilia. I primi popoli, de’ quali la nostra storia fa menzione, sono i sicani […]. I sabini furon discacciati dalle antiche loro sedi dagli umbri, ed occuparono quelle terre che ancora ritengono. Dei sabini si dicon figli i sanniti, detti perciò anche sabelli; dai sanniti sono discesi gli irpini; noi dai sanniti e dagl’irpini; ed i bruzi sono i nostri pastori ribelli […].
Voi avete de’ pelasgi, noi ne abbiamo ancora : tanto basta perché i pelasgi italiani debban credersi greci […]. Credimi : tutt’i nomi, che noi adopriamo, son nostri […].
Pare che la differenza de’ dialetti sia stato effetto della fisica divisione della terra e cagione della divisione politica de’ popoli. I nostri dialetti principali sono il lucano, il sannitico, il latino, l’etrusco : pari numero tu trovi di federazioni politiche. Riunisci questi vari popoli con un centro comune. Le picciole differenze svaniranno, e di tanti dialetti avrai una lingua sola.
[…] Abbiamo esaminate le vicende di queste lingue, ed abbiam visto che la lingua italiana è molto piú antica della greca […]. Vogliam esaminar la storia de’ costumi ? Troviamo la civiltá italiana piú antica della greca29.
L’histoire des Étrusques est racontée juste au bord de la mer à Cléobole et Ocilos, l’un des petitsenfants d’Ocellos, par un prêtre de Pesto, Paestum. Identifiant les Étrusques aux Pélasges et renforçant – dans la foulée des Origini Italiche30 – la représentation bien connue, chez Polybe et Tite-Live, d’une Italie entièrement étrusquisée de la vallée du Pô à la Campanie et de la mer Tyrrhénienne à la mer Adriatique, Cuoco est en mesure de proposer à nouveau son évaluation négative du fédéralisme. Avec d’autres causes concomitantes, telles que le relâchement des mœurs, l’extravagance croissante de l’art31 et l’extrémisation superstitieuse du polythéisme, le fédéralisme avait engendré une décadence inexorable, portant à l’issue funeste de la conquête gauloise :
L’antico impero etrusco avea in se stesso il germe della dissoluzione. Non mai si era pensato a render forte il vincolo che ne univa le varie parti […].
La corruzione de’ costumi produsse la corruzione delle arti, le quali sono de’ costumi ed istrumenti ed effetti. All’antica e severa magnificenza successe l’affettato e lo stravagante […].
La religione corrotta, o miei amici, accelera la morte delle cittá32.
On a voulu insister sur le Platon de Cuoco, parce que cette œuvre, se fondant sur des prémisses clairement dérivées de Vico, assemblait déjà tout le matériel d’argumentation des développements de l’historiographie philoitalique postérieure, des deux points de vue géographico-culturels, celui de l’Étrurie et celui de la Grande-Grèce, reliés par la soudure sabellique et osque des Samnites et des autres indigènes de l’Italie centrale et méridionale.
Quant à la Grande-Grèce, on doit souligner que le manuscrit fictif, que Cuoco fait semblant d’avoir traduit, aurait été découvert par hasard en 1774 ← 10 | 11 → près de Policoro, c’est-à-dire à l’emplacement de l’ancienne Héraclée : et c’est justement de là – mais sans aucune mystification – que provenaient les célèbres plaques de bronze inscrites qui avaient été éditées par le chanoine Alessio S. Mazzocchi vingt ans auparavant avec une dédicace au roi Charles III de Bourbon33. Du reste, Mazzocchi est souvent mentionné par Cuoco : bien informé de l’articulation des peuples autochtones de l’Italie du Sud (Lucaniens, Samnites, Campaniens et Apuliens), il avait reconnu dans l’ancienneté et l’enracinement pervasif de la doctrine pythagoricienne le caractère fondamental et distinctif d’un Mezzogiorno essentiellement grec.
Cette jonction, apparemment si bizarre, entre cultures indigènes de l’Italie du Sud et philosophie grecque fut internationalement avalisée, pendant la première moitié du XIXe siècle, dans les écrits d’August Boeckh et de Karl Otfried Müller34.
Ceux-ci réactualisèrent une vieille idée de Diogène Laërce35 reconnaissant une spécificité dorienne d’Occident – donc, grecque et italique en même temps – dans la diadochè orphico-pythagoricienne, en tant que philosophie du Sein, mystique et porteuse d’une forte connotation éthico-religieuse36. Salvatore Settis remarque que cette idée, largement partagée au XIXe siècle, d’une philosophie ‹ italique › caractérisée par son idéalisme est assez difficile à concilier avec les tendances critiques, elles aussi largement partagées mais plus tard, au début du siècle suivant, qui ont plutôt tenté de focaliser dans une prétendue ‹ corporéité › réaliste l’indiscutable caractère indigène de l’art de la Grande-Grèce37.
Mais revenons au commencement du XIXe siècle pour nous pencher sur Giuseppe Micali, l’auteur de L’Italia avanti il dominio dei Romani38 et de la Storia degli antichi popoli italiani39, considéré tant par Treves que par Pallottino40 comme le véritable leader de cette historiographie des Vaincus. Il ne s’agissait cependant pas d’un ‹ libéral › stricto sensu, s’inscrivant dans la culture politique du Risorgimento, mais plutôt d’un « settecentista in ritardo », formé par les Lumières, qui avait rencontré Madame de Staël, Carlo Denina et Wolfgang A. Mozart, mais était surtout l’ami de Melchiorre Delfico, le gouverneur des Abruzzes à l’époque de la révolution napolitaine (1799)41.
D’après l’interprétation de Treves42, Micali incarna le passage du patriotisme régional, ou mieux, régionalisé, du XVIIIe siècle à celui, national, du XIXe. En effet il parvint à s’affranchir des limites de l’etruscheria des Toscans – d’où il ne pouvait que prendre origine, en tant que livournien, lecteur de Guarnacci et décoré en 1810 du prix, prétendu ‹ apolitique ›, de l’Académie de la Crusca (mais contesté par Foscolo, Inghirami, Zannoni et Lanzi) – en vertu de sa connaissance des grands essais historico-philosophiques de Vico et de Cuoco43 ainsi que des Rivoluzioni d’Italia de Carlo Denina44, d’où semble dériver l’opinion négative qu’il a de la Romanisation.
L’antifédéraliste Denina avait écrit :
Trovavasi Roma in mezzo a’ Toscani, a’ Sabini ed a’ Latini : gli uni ricchi, magnifici e già in gran parte corrotti dal lusso; e gli altri o poveri per natura, o villani e rigidi per instituto. I re di Roma presero tanto delle arti e dei costumi de’ Toscani, quanto potea permettere la qualità dello stato loro, e quanto bastava ad allettar la curiosità popolare de’ Sabini e de’ Latini; e ritennero della severità di questi ultimi quanto si convenia per non alienarne i primi : in quella guisa che Maometto tanti secoli dopo, se mi sia ← 11 | 12 → lecito il paragone, compose quel suo nuovo codice di religione e di politica da varie dottrine di cristiani eretici, di giudei e di pagani sì fattamente, che potesse trovar seguaci in tutte quelle diverse sette […].
Non v’è dubbio che se alcuno de’ popoli confinanti, o toscani o latini o sabini, si fosse mosso contro Roma con tutte le forze unite della nazione, quella città sarebbe stata in brevissimo tempo disfatta e dispersa.45
Associons lui maintenant le Micali du premier chapitre de la seconde partie de L’Italia, qui part d’une semblable peinture de l’inégalité géographique et économique pour reconnaître dans la fidélité envers les religions traditionnelles la meilleure garantie d’une cohésion socio-politique :
Al nascer di Roma, la potente influenza delle leggi e de’ costumi avea da gran tempo consolidata la politica esistenza de’ popoli, che dalle radici delle Alpi all’estremità della Calabria dominavano in libero territorio […].
I popoli italici, egualmente lontani dalla barbarie e da quell’indefinibil composto di scienza e di vizi, che stabilisce la superiorità dell’uomo culto, viveano forse nello stato meno infelice secondo il corso delle cose umane : ma grandi inegualità di cielo, di suolo e di circostanze, faceano spiccare in ogni parte una straordinaria, e quasi incredibil varietà di maniere e di costumi. Alcuni posti in sito più vantaggioso come gli Etruschi, godevano ed abusavano de’ vantaggi procurati dalla superfluità e dalla ricchezza : altri più semplici e più frugali, simili ai Sabini o ai Sanniti, vivevano con quella stessa moderazione e austerità, che avean fatto gloriosi i lor maggiori. La scoscesa riviera de’ Liguri, il paese guerriero degli Equi, dei Marsi, e d’altri robusti abitatori dell’Appennino, sostenevano numerose popolazioni giustamente lodate per un inflessibile spirito di libertà, che dovettero alla parsimonia non men che al valore.
[…]. Su tal fondamento le virtù severe e virili d’un popolo sommamente religioso e morale, erano valutate come il più saldo sostegno del governo civile.
[…]. E per verità, quasi che l’abito dell’obbedienza meglio da quello della religione proceda, tal si era la profonda universal sommissione degli animi, che soltanto i Romani, una volta corrotti dalle discipline forestiere, dettero all’Italia il primo e funesto esempio di potere impunemente aver a scherno i loro iddii46.
Cette utopie d’une « libera patria perduta »47 républicaine mais confédérale et précisément rétroprojetée « avanti il dominio dei Romani » pouvait paraître, non sans raison, opposée aux idées de Mazzini – lisons, par exemple, un passage assez intéressant tiré d’une lettre d’un fédéraliste célèbre comme Carlo Cattaneo48 :
Il Micali riguarda la conquista romana come la ruina di Italia; certo fu la tomba di molte lingue, e religioni, e legislazioni e letterature. Chi può applaudire al soldato che scanna Archimede ? o all’incendio di Veio ? Ma se VI capita uno scrittore mazziniano, VI manderà volentieri alla malora l’Etruria, e i Sanniti con le loro virtù e i Pitagorici della Magna Grecia, per conseguire il gran punto della romana unità.
En effet, Micali regardait l’Italie avant Rome comme un ensemble de « petits États » paysans, qui lui semblaient étrangers à toute vocation d’impérialisme, n’étant en mesure de se confédérer que pour des exigences militaires exclusivement défensives49. À l’intérieur de ce cadre de différenciation de richesse et de mœurs, les « antichi Toscani » – comme il appelle, en règle générale, les Étrusques, considérés comme autochtones50 – avaient joué un rôle central, grâce à leur politique maritime et à l’excellent contrôle social exercé par l’instrumentum regni de leur religion et par un système d’éducation fortement élitaire, donc exempté de la « superflua pompa di vane dispute né di opposte sette »51. Même la fameuse tryphè – que Micali traduit par « raffinamenti di comodo e di piacere »52 – est en partie appréciée, en tant que « magnificenza pubblica » et « special distinzione de’ favoriti della fortuna ». Les Lois des Douze Tables – auxquelles Mazzocchi avait attribué des racines culturelles en Grande-Grèce53 – paraissent à Micali le produit exemplaire d’une tradition juridique qui n’avait rien d’hellénique mais avait été entièrement bâtie chez les Étrusques, les Sabins et les Falisques. Sur le plan ← 12 | 13 → historique, cette primauté des Toscans s’était réalisée à la tête d’une confédération de républiques; mais, par la suite, pacifisme et enrichissement progressif en avaient affaibli les capacités de résistance, face à la « révolution » naissante54 représentée par la conquête romaine. Ainsi la prise de Véies devient un événement capital, et la digression paysagiste de Micali, entre nature et archéologie, révèle déjà un certain parfum de romantisme :
[…] Veio spogliata delle ricchezze, degli abitanti e de’ suoi Idii, fu dipoi lasciata quasi deserta e distrutta, di modo che fra le cadenti sue mura s’udiva quattro secoli dopo risuonar la zampogna del pastore, e il belare degli armenti55.
Tout cela constitue une évidente allusion à Properce :
heu Veii veteres! et vos tum regna fuistis, / et vestro posita est aurea sella foro : / nunc intra muros pastoris bucina lenti / cantat, et in vestris ossibus arva metunt56.
et peut avoir inspiré, trente ans plus tard, le pathos d’une page de George Dennis :
Veii lives in the page of history rather than in extant monuments; she has no Colosseum, no Parthenon, no Pyramids […]. The very skeleton of Veii has crumbled to dust – the city is its own sepulchre – here, si monumentum requires – circumspice !57
La connotation négative de la « révolution » romaine est intensifiée au plus haut degré dans la section de l’œuvre consacrée aux causes et au début de la Guerre Sociale, où toute la responsabilité morale de l’appauvrissement des paysans italiens est attribuée à « quei perturbatori dell’universo, che tutto il male che non facevano lo riguardavano anzi come un bene che concedevano ai vinti »58 – bien que la réflexion de Micali sur les sources littéraires rende clair le rapport structurel entre latifundium et esclavagisme, par la citation très pertinente de Strabon (14, 5, 2) à propos du « gran mercato dell’isola di Delo »59.
Le caractère que je viens de définir comme ‹ utopique › de cette historiographie a été décrit par Mario Torelli en termes mythico-rhétoriques60 : son approche essentiellement ethnographique des sources littéraires, son choix d’une exemplification archéologique limitée aux seuls monuments étrusques, ou presque, son adhésion préjudicielle aux topoi d’une autochtonie des origines complètement idyllique et d’un déclin causé par l’opulence ont entravé chez elle – selon Torelli – la véritable perception d’une ancienne Italie plus articulée et mieux différenciée dans ses phénomènes et ses composantes culturels.
On peut toutefois rappeler un épisode militaire assez drôle, en rapport à cette mythologie des origines. Je me réfère à un aspect idéologique de l’intervention au sud de l’Italie, entre 1860 et 1867, de ce que l’on a appelé la Légion Auxiliaire de Hongrie, engagée au début (et assez brièvement) en appui à Garibaldi, puis, surtout, en Basilicate dans la répression du prétendu brigandage61. En effet, une étude de l’étruscologue Janos G. Szilágyi a mis en lumière un aspect pour ainsi dire archéologique (ou plutôt prédatoire) de cette activité militaire, qui entraîna la formation d’une petite collection d’objets votifs, découverts en 1861 à Rionero, près de Melfi, par le lieutenant Izidor Máttyus62 : ce dernier, fort influencé par les radotages pseudohistoriographiques d’István Horvát († 1846), s’intéressa à l’hypothèse d’un lien ‹ pélasgique › entre la Hongrie d’Attila et des Huns et l’Italie pré-romaine63.
Avec bien plus de sérieux scientifique, la question du peuplement indigène de l’ancienne Basilicate avait été abordée dans les recherches et les réflexions inévitablement micaliennes d’un commis bourbonien aux idées libérales, Andrea Lombardi, ← 13 | 14 → dont Torelli64 vient de mettre en valeur l’étude publiée dans le volume de l’année 1832 des Memorie dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica. Il est intéressant de souligner l’attention particulière prêtée par Lombardi au phénomène des enceintes de murailles dites ‹ cyclopéennes › ou (d’une façon fort significative) ‹ pélasgiques ›, qui étaient considérées comme l’expression la plus monumentale de cette italicité des origines – voir, à titre de comparaison, le développement de ce même sujet dans le manuel rédigé par Cesare Cantù, Monumenti di archeologia e belle arti65. Mais assez différemment de ce que l’on trouve chez Micali, on ne saurait percevoir dans la pensée de Lombardi semblable urgence politique à revitaliser le modèle des anciennes républiques et de leurs institutions prétendument fédérales.
Plus tard – vers la fin du siècle, désormais – on doit encore mentionner l’ouvrage, que l’on peut également comprendre dans une acception quelque peu micalienne, de Giacomo Racioppi, auteur d’une importante Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata66, qui se caractérise par la nouveauté de ses comparaisons anthropologiques avec les indigènes des continents extraeuropéens67.
Des aspects perceptibles de ce même philoitalicisme propre à l’idéologie du Risorgimento ont été également reconnus dans l’historiographie dite « neoguelfa »68, celle du courant catholique du Risorgimento, le néo-guelfisme, inauguré par Vincenzo Gioberti († 1852). En effet, le « primato morale e civile degli Italiani », qui donne son titre à l’un de ses essais les plus célèbres69, se fonde sur la continuité d’un « genio nazionale » d’ascendance pélasgienne et étrusque – et, il va sans dire, toujours pythagoricienne – qui, organiquement, lui paraît pleinement compatible avec l’autorité du Pape, souhaitée comme la meilleure garantie d’une entente fédérale :
La più antica nostra cultura è quella dei Pelasghi e degli Etruschi, che, avvalorata dalle tratte orientali, venne in parte distrutta dai soldati di Belloveso, quando trasferirono per la prima volta sul Po il nome funesto di Gallia. Ma appena gl’irti dominatori furono accasati nella fertile valle, sorse Roma, che ricreò la potenza italica, avvalorando il genio etrusco cogli spiriti dorici e pitagorici; giacché l’opinione, che, a dispetto dei tempi fece di Numa un alunno di Pitagora, non è affatto una favola. Roma vendicò l’antica Italia e conquise i Galli; ma cadde sotto i Teutoni, nuovo e più duro nemico. Ed ecco dalle ruine italiane uscire un’altra gente e una seconda Roma per un nuovo miracolo operato, non più dal braccio dei militi, ma dalla voce eloquente dei sacerdoti. Erra, al parer mio, chi attribuisce la disunione civile d’Italia all’opera dei Pontefici; quando in vece il papato fu benemerito, per quanto lo portavano i tempi, dell’unità italiana.70
Cette variante catholique de la pensée libérale se tenait à distance non seulement de positions explicitement hostiles au Risorgimento, comme celles que défendait le père jésuite Antonio Bresciani ou Saint Jean Bosco, mais aussi de la ligne beaucoup plus modérée du cardinal Angelo Mai, de l’avis de Treves un « autorevole umanista conformistico »71 : celui-ci, ne refusant de tout l’héritage culturel classique que le paganisme, voyait dans l’Église de Rome un « inveramento »72 providentiel de l’Empire. D’après Mai, la nouvelle Rome des Pontifes détenait une autorité non seulement similaire, mais proprement supérieure à celle de l’ancienne, s’opposant à la « barbara superstizione e poter despotico » de l’empire de Mahomet73 :
È dunque veramente cattolica, cioè universale, la romana chiesa; e l’universo, con tutte le sue terre, isole, e mari, rende ossequio al santissimo padre della nostra Roma. Or questo è ben altro che l’adulazione poetica di Virgilio al suo Augusto […].
Che se è così, ben giusta ragione abbiamo […] di festeggiare con ogni letizia questo dì anniversario del natale di Roma; il quale se fu sorgente di tanti beni; e se l’impero romano, invece di sminuirsi dopo la fine dei cesari, crebbe anzi a dismisura sotto i pontefici; ← 14 | 15 → chi non sarà meglio affetto verso il nuovo stato di cose, che verso l’antico ? […].
E tu vivi, o Roma, signora dell’universo. Vivi, o Italia, nobilissima nostra patria e madre della ubertà, dove concordemente a lieta mensa si assidono l’ostro e la toga, la tiara e il lauro, le scienze e l’arti […].
Salve dunque, o bel Lazio, dilettevol ricetto del misterioso Saturno e degli archeologi figli suoi !;
[Ragionamento letto alla Pontificia Accademia Romana di Archeologia nel dì solenne 21 di aprile 1837 anniversario della fondazione di Roma74].
S’agit-il donc ici d’une ligne de pensée libérale et philoétrusque (ou philoitalique) opposée à une autre, réactionnaire et philoromaine ? Ce serait trop simple. Il suffit en effet de prendre en compte le fait qu’une attitude antiromaine pouvait également émaner des catholiques, compte tenu de la connotation explicitement ‹ quiritaire › de la république de Mazzini (1849).
En effet, le néo-guelfisme était certes libéral et favorable au Risorgimento, mais il n’était pas toujours anticlassique, quoiqu’il se fût bien davantage intéressé à Rome qu’à la civilisation grecque, blâmant – à l’importante exception d’Alessandro Manzoni75 – ce qui pouvait apparaître comme une véritable usurpation de la Ville Éternelle, opérée par le nouveau royaume national de Savoie. La pensée de Manzoni76 est en effet la plus nuancée et la plus intéressante : son attitude anti-romaine réside essentiellement dans le refus ironique d’un héroïsme qui, une fois séparé de la perception chrétienne de l’histoire, apparaîtrait rhétorique et inutile. Ses Postille à l’Histoire romaine de Charles Rollin (1738–1741), éditées par Ruggero Bonghi en 1885, sont assez éloquentes. Ainsi, à propos de la prise de Verrugo par les Volsques, due au coupable retard des renforts envoyés secourir la garnison romaine, Manzoni éclate : « Comment! Cette sage, auguste et respectable compagnie [il s’agissait du Sénat] ne faisait pas une réflexion de cette force! »77.
Dès lors qu’elle fut accomplie et cessa d’être une utopie, l’unité politique de l’Italie est considérée par Treves comme un tournant clairement critique78, avec l’inévitable déclin du néo-guelfisme et le succès d’un classicisme essentiellement antichrétien et ‹ maçonnisant ›, tel que celui du poète Giosue Carducci (†1907) et – j’ajouterais, dans le domaine spécialisé des études italiques – d’Ariodante Fabretti (†1894)79. Sa connotation, à mon avis, qui n’est positiviste qu’en apparence, est intrinsèquement déjà décadente80. Cela devient absolument manifeste dans la frustration qu’éprouve Carducci face à l’utopie d’un passé hellénique (plutôt que romain) que l’on ne pouvait plus rattraper en raison de la sémitisation culturelle provoquée par le christianisme; et cela se perçoit aussi dans sa tentative d’y porter remède par une véritable mise en catalogue des faciès de l’Italie préromaine, inspirée par l’orthodoxie de l’école paléoethnologique de Bologne81. Ainsi, dans l’ode Alla città di Ferrara (1895), la « vecchia vaticana lupa cruenta » – une icône de la Guerre Sociale! – est violemment opposée à la sédimentation séculaire des races : les Ligures sauvages qui poussaient leurs bateaux « su la tristezza di Padusa immota »; et « d’Adria reina / Spina pelasga »; puis Diomède et les colons Lingons. Huit ans plus tard, cette cartographie poétique des anciens peuples de l’Italie connut une sorte de traduction botanique dans ce grand bouquet national de « gattice d’Arno », « salce lombardo », « viole liguri », « pestane rose » et « sicule palme » offert par Gabriele d’Annunzio au vieux barde qui s’approchait du Prix Nobel82.
C’est en même temps une coïncidence significative qu’en Italie, durant les années soixantedix du XIXe siècle, les Sciences de l’Antiquité commencèrent à se germaniser, en vertu, aussi, d’appels à des candidatures académiques qui firent venir Adolf Holm à Palerme (1876) et Karl J. Beloch ← 15 | 16 → ainsi qu’Emanuel Loewy à Rome (1879, 1890) : savants de renommée internationale, ils ont favorisé des progrès méthodologiques tout à fait remarquables et une véritable déprovincialisation des universités italiennes83. Mais tout cela aurait aussi été à l’origine de cette ségrégation des études classiques, à laquelle on a déjà fait allusion, tandis qu’une partie très importante de l’Altertumswissenschaft décelait déjà de dangereux penchants irrationalistes.
En archéologie classique, une polarisation emblématique était en train de mûrir entre ce que, d’une part, Treves appela avec malveillance le « scavismo pompeianistico » de Giuseppe Fiorelli84 – dans un français macaronique, on pourrait le traduire par le ‹ fouillisme pompéianiste › – et qui, beaucoup plus sympathiquement, vient d’être rebaptisé « archéologie factuelle » par Maria Bonghi85, et, de l’autre, l’esthétisme ‹ ruskinien › de Vittorio Spinazzola86, lequel, je crois, n’est pas dépourvu d’importance dans l’assemblage de l’équipement archéologique du nouveau poète ‹ national ›, D’Annunzio87.
Mais c’était justement du côté de cette archéologie ‹ fouilliste › qu’un tournant en quelque sorte émancipateur s’annonça, à partir de 1884, dans l’expérience égéenne de l’École Italienne88 qui, malgré la tare idéologique de ses présomptions colonialistes, devait enfin contextualiser le thème de l’ethnicité ‹ italique › et nationale à l’intérieur de ce grand scénario méditerranéen, du Scamandre aux Alpes, que les petitsenfants d’Ocellos avaient un jour évoqué devant l’Athénien Cléobole.
Maurizio Harari
Università degli Studi di Pavia
Résumé des informations
- Pages
- VI, 364
- Année de publication
- 2014
- ISBN (MOBI)
- 9783035199123
- ISBN (ePUB)
- 9783035199130
- ISBN (PDF)
- 9783035202847
- ISBN (Broché)
- 9783034313247
- DOI
- 10.3726/978-3-0352-0284-7
- Langue
- français
- Date de parution
- 2014 (Novembre)
- Mots clés
- Archéologie Italie, préromanisme, Ethnos Völker
- Page::Commons::BibliographicRemarkPublished
- Bern, Berlin, Bruxelles, Frankfurt am Main, New York, Oxford, Wien, 2014. VI, 364 p., nombr. ill. n/b et en couleurs