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Da Dio Padre al Dio dei Padri Il mito ebraico come paradigma della dinamica del Sé (C.G. Jung)

Ermeneutica dell’idea monoteistica a partire dalla psicologia dell’inconscio

by Lucio Carraro (Author)
©2022 Monographs 410 Pages

Summary

Ogni discorso sulla natura di Dio è mito. Dio si fa conoscere soltanto mediante le sue azioni e solo in correlazione con l’Uomo.
La psicologia dell’Inconscio si propone con lo stesso approccio: liberare/redimere le azioni umane per far sì che raggiungano la piena coscienza/santità.
Lo scopo è ‘il progresso nella spiritualità’ (Freud) e la via dello sviluppo dell’istinto spirituale, sviluppo verso il Sé (Jung).
Inspiegato rimane "…con quale impulso spirituale ha inizio l’incerto movimento spirituale, tale che esso possa riconoscere la sua origine in questo impulso." (H. Cohen)
La psicologia dell’Inconscio procede essenzialmente con la negazione come privazione: qualsiasi elemento cosciente viene messo in dubbio dal non-cosciente, per generare una nuova coscienza.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Indice
  • Prefazione
  • Introduzione e formulazione del problema
  • Capitolo primo: premesse ermeneutiche
  • 1. Considerazioni metodologiche
  • 2. Il punto di vista psicologico
  • 2.1. La dissociabilità della psiche
  • 2.2. Il punto di vista energetico
  • 2.3. L’aspetto finale
  • 2.4. Il metodo
  • 2.5. Acquisizioni epistemologiche
  • 3. Psicologia dell’inconscio ed ermeneutica
  • Capitolo secondo: Il dibattito sul monoteismo nelle scienze della cultura e della religione
  • 1. La non-omogeneità di un dibattito
  • 1.1. Il superamento della non-omogeneità – L’accettazione della non-omogeneità
  • 1.2. Religione e cultura in Europa
  • 1.3. La reciprocità del rapporto tra cultura e religione
  • 1.4. Cosa è ‘cultura’
  • 1.5. Secolarizzazione: un fenomeno europeo
  • 1.6. Il contributo della psicologia
  • 2. Storia del dibattito
  • 2.1. Preludi del dibattito
  • 2.2. Giudizio di valore
  • 2.3. Punto di vista estetico
  • 2.4. Inclusione-esclusione
  • 2.5. Differenziazione del concetto di religione
  • 2.6. La traducibilità e l’universalismo
  • 2.7. Linguaggio riflessivo
  • 2.8. Società iconografiche
  • 2.9. Vicinanza e distanza
  • 3. In conclusione
  • Excursus I: Il linguaggio
  • 1. L’aspetto della scienza della religione
  • 2. Metafisica del linguaggio
  • Capitolo terzo: Aspetti storico-religiosi
  • 1. Tra violenza e tolleranza J. Assmann e il linguaggio della violenza
  • 1.1. Verità e pretesa di verità
  • 1.2. Monoteismo e anti-cosmoteismo
  • 1.3. Figura mnemo-storica per l’Europa
  • 2. Precisazione e revisione
  • 2.1. Osservazioni e interrogativi
  • 2.2. La semantica
  • 2.3. Vicinanza e distanza: la simbiosi
  • 2.3.1. Uscita dalla simbiosi: la sublimazione
  • 2.3.2. Verità
  • Capitolo quarto: Alta congiuntura per il politeismo Odo Marquard: Lode del politeismo
  • 1. Il punto di vista della filosofia
  • 2. Odo Marquard: Lode del politeismo
  • 2.1. Cosa sono i miti?
  • 2.2. Monomiticità e polimiticità
  • 2.3. Il disagio di fronte al monoteismo
  • 2.4. Storia come storia della salvezza
  • 2.5. La secolarizzazione
  • 2.6. Tra vuoto e monomiticità
  • 2.7. Polimiticità rischiarata
  • Excursus II La demitizzazione come passo verso l’incontro con il proprio mito.
  • 1. Come si pone Bultmann di fronte ai miti?
  • 2. C.G. Jung e il programma di demitizzazione di Bultmann
  • Excursus III Proiezione e ritiro della proiezione
  • Excursus IV Le molte storie intorno all’Uno
  • Capitolo quinto: Monoteismo biblico
  • 1. Introduzione
  • 2. La prospettiva storica degli effetti
  • 3. La ricerca all’interno della Bibbia
  • 3.1. Il contesto antico
  • 3.2. Affermazioni monoteistiche in un linguaggio politeista
  • 3.2.1. Due teologie
  • 3.2.2. Il primo comandamento nel contesto del linguaggio politeista
  • 3.2.3. Il nome: “questo nome glorioso e terribile del Signore, tuo Dio” Dt. 28,58
  • 3.2.4. Il contratto
  • 3.2.5. Tempo di crisi
  • 3.2.6. La reinterpretazione del contratto
  • 4. Il contesto antico-cananeo
  • 4.1. Precedenti storici
  • 4.2. L’unicità di Dio
  • 4.3. Il monoteismo egizio
  • 4.4. Incomparabilità
  • 4.5. Il monoteismo ugaritico
  • 4.6. L’ ‘interpretatio israelitica’: modalità semitiche (occidentali) di esprimersi
  • 5. La relazione Dio-Uomo
  • 5.1. Contratto o alleanza?
  • 5.2. Alleanza come rapporto d’amore
  • 6. Riflessioni conclusive
  • 6.1. Monoteismo teoretico o processo spirituale?
  • 6.2. Amore e libertà
  • 6.3. Il ‘mitico’ nella forma di pensiero israelitico
  • Capitolo sesto: Monoteismo nella visione ebraica secondo H. Cohen
  • 1. Introduzione
  • 2. Il pensiero di Hermann Cohen
  • 2.1. Religione della ragione
  • 2.2. ‘Concetto’ e concetto ‘ragione’
  • 2.3. Un nuovo senso da un nuovo metodo
  • 2.4. La ragione in ‘opposizione’ alla sensibilità
  • 2.5. L’elemento messianico
  • 2.6. Eticità: la religione della ragione è segnata dall’eticità
  • 2.7. Il Sé etico
  • 2.8. Il mito – il mitico
  • 2.8.1. Il sacrificio
  • 2.8.2. La colpa
  • 2.8.3. L’idea di ‘origine’ e di ‘purezza’. Diverse forme di ‘purezza’
  • 2.8.4. La santità
  • 3. La correlazione
  • 3.1. Lo Spirito come conoscenza – conoscenza e amore
  • 3.2. L’individuo
  • 3.3. L’individuo come Io
  • 4. Unicità di Dio e monoteismo
  • 5. L’idea del limite
  • 6. Analogie
  • 6.1. Sigmund Freud e la psicanalisi
  • 6.1.1. Nuovi contenuti: la rettifica di religione e morale
  • 6.1.2. Il Messianismo
  • 6.1.3. La colpa primordiale
  • 6.2. L’idea del Sé di C.G. Jung
  • Capitolo settimo: Monoteismo come mito
  • 1. Il mitico nel monoteismo
  • 1.1. Necessità di chiarimento
  • 1.1.1. Essere eletti
  • 1.1.2. Il momento dell’impulso originario
  • 1.2. La tesi di Maciejewski
  • 1.3. Osservazioni critiche
  • 2. Psicologia del mito
  • 2.1. Mitologia del paesaggio – Il nomadismo
  • 2.2. Tra nomadismo e non-nomadismo, tra sedentarietà e nonsedentarietà
  • 2.3. La psicologia dello spazio vuoto: la solitudine
  • 2.4. Rifiuto della stanzialità
  • 3. Il Dio dei Padri
  • 3.1. Critica del testo
  • 3.2. Chi era/ erano questa/ e Divinità?
  • 3.3. Due differenti risposte
  • 3.4. Tra due mondi
  • 4. Morfologia del Politeismo
  • 5. Il mito della ‘Grande Madre’
  • 5.1. La fertilità
  • 5.2. La psicologia della ‘Grande Madre’
  • 5.2.1. L’archetipo
  • 5.2.2. La Grande Madre
  • 6. La figura della Grande Madre (E. Neumann)
  • 6.1. L’Archetipo del Femminile
  • 6.1.1. Due caratteri
  • 6.1.2. La madre e il suo eroe
  • 6.2. La paura
  • 6.3. La celebrazione dei misteri e l’istintualità
  • 6.4. La figura del padre
  • 6.4.1. La funzione del padre
  • 6.4.2. Un esempio
  • 7. L’aspetto mitico della Tora
  • 7.1. Il significato della Tora
  • 7.2. La mitologia della parola e del numero
  • 7.3. La combinazione di numero-parola (lettera dell’alfabeto)
  • 7.4. L’inizio
  • 7.5. Sulla dualità
  • 7.6. Il quattro
  • 8. Alcune storie
  • 8.1. La donna
  • 8.2. Chi è questo Dio, l’Uno? I nomi di Dio
  • 8.2.1. Abraham
  • 8.2.2. Giacobbe: Gen 32,23– 33
  • 8.2.3. Presso il roveto ardente: 2Mos 3, 3– 4
  • Conclusione
  • Capitolo ottavo: Il Sé e la negazione condizionata
  • 1. Il Sé e la sua dinamica
  • 1.1. Il problema etico
  • 1.2. Religione e religiosità
  • 1.3. Istinto spirituale
  • 1.4. Il Sé e l’Io
  • 2. La negazione condizionata
  • 2.1. La teologia negativa
  • 2.2. La negazione come privazione
  • 2.3. Spiegazione sull’esempio dell’’inerzia’. Creazione e divenire
  • 2.4. Il Sé e la negazione condizionata
  • 2.5. In rapporto al dibattito sul monoteismo
  • 3. Ermeneutica del sacrificio
  • 3.1. Sacrificio come via verso ‘Dio’
  • 3.2. Cosa significa il sacrificio per l’uomo e per gli dèi
  • 3.3. Il sacrificio sospeso – la negazione del sacrificio
  • 3.3.1. Nel quadro della scienza della religione
  • 3.3.2. Il rito del sacrificio: la Messa
  • 3.3.3. Dio, il Creatore
  • 3.3.4. Dove vive il mistero?
  • 3.4. La legatura di Isacco
  • 3.4.1. Differente ermeneutica
  • 3.4.2. Il significato della prova: la contraddittorietà
  • 3.4.3. La conseguenza della prova: la via della spiritualizzazione
  • 3.4.4. Necessità dell’esperienza
  • 3.4.5. Considerazioni
  • 4. Psicologia del sacrificio
  • 4.1. La via della celebrazione dei misteri
  • 4.2. Il significato del sacrificio come offerta
  • 5. Lo Spirito
  • 5.1. Fenomenologia dello spirito
  • 5.1.1. In generale
  • 5.1.2. Cosa è quindi ‘spirito’?
  • 5.2. L’automanifestazione dello spirito nei sogni e nelle favole
  • 5.3. Lo Spirito Santo
  • 5.3.1. Il significato psicologico del dogma della Trinità
  • 5.3.2. Il significato
  • 5.4. Lo Spirito pagano
  • 5.5. Lo Spirito come correlazione – H. Cohen
  • Parole di conclusione e prospettive
  • 1. La funzione etica e la psicologia dell’inconscio
  • 2. Dal sacro al santo
  • 3. Di Dio che viene all’idea
  • 4. Universalismo e tolleranza
  • 5. Il dolore: la fine della teodicea
  • 6. Creatività e arte
  • 7. La passione dello ‘stupore’
  • Bibliografia

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Prefazione

La presente monografia ha un accentuato profilo interdisciplinare. Ciò la rende ambiziosa ma, proprio per questo motivo, anche molto interessante e stimolante. La capacità di Lucio Carraro di muoversi con grande disinvoltura in molte discipline sta in stretto rapporto con la sua formazione, la sua specializzazione e la sua attività professionale. Nato nel 1947 in provincia di Venezia, ha dapprima intrapreso lo studio della teologia, che ha iniziato a Padova e concluso a Lucerna. Il suo lavoro di diploma (Il rapporto tra amore e conoscenza nella 1.a Lettera di Giovanni) gli ha permesso di acquisire dimestichezza con i metodi della scienza biblica. A Padova Carraro ha intrapreso lo studio di psicologia, successivamente approfondito con la formazione all’Istituto C.G. Jung di Zurigo. Ciò gli ha aperto, da una parte, la carriera professionale di psicologo di psicologia analitica e psicoterapeuta, una professione che lo ha portato a contatto soprattutto con persone dell’emigrazione di varie nazioni, rendendolo sensibile alle tematiche interculturali. Dall’altra parte, la scoperta della psicologia di C.G. Jung a Zurigo ha dato un’impronta profonda alla sua vita e alla sua opera. Questo emerge chiaramente già dal lavoro di diploma, con cui ha portato a termine la formazione a Zurigo: con esso l’opera filosofica di Ernst Bloch Il principio di speranza è posta in un dialogo interdisciplinare con il processo di individuazione di C.G. Jung. In questo lavoro si manifesta appieno quell’esigenza di fondo a cui si indirizzano tutte le ulteriori riflessioni di Carraro, cioè interpretare con l’aiuto della psicologia di Jung le manifestazioni della vita e della cultura, tradizioni di pensiero e idee religiose, per cogliere in esse le dimensioni profonde della dinamica dei processi psichici.

A questo si aggiunge l’interesse che Carraro, sulla base dei suoi studi biblici e in contatto con l’Istituto per la ricerca ebreo-cristiana di Lucerna (IJCF), ha coltivato per molti anni per il Giudaismo e, in particolare, per la filosofia ebraica.

Da questa costellazione brevemente abbozzata si desumono, quindi, sia il procedere metodico sia il punto tematico centrale del presente lavoro. L’autore non esita a mettere in gioco in modo creativo diverse discipline, allo scopo di illuminare la sua tematica, in maniera un po’ caleidoscopica, da diversi punti di vista: scienza biblica dell’Antico Testamento, giudaistica, storia e scienza della religione, filosofia e, in particolare, filosofia della religione e della cultura, ermeneutica ecc. Ciò che dà unitarietà, annunciandosi in modo discreto nelle prime tappe ed entrando poi pienamente in campo nella parte conclusiva, è la prospettiva della psicologia dell’inconscio junghiana, con la sua focalizzazione sulla dinamica del Sé, come è messo in risalto già nel sottotitolo del lavoro. Questo indirizzo di fondo non implica, tuttavia, che l’autore voglia ricondurre le altre discipline in modo riduzionistico alla psicologia dell’inconscio di matrice junghiana. Il suo intento è piuttosto quello di arricchirla e di approfondirla, confrontandola in maniera multi-prospettica con gli altri approcci metodologici.

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Dal punto di vista del contenuto, l’idea centrale ampiamente esposta in questo studio è il monoteismo, un tema che negli ultimi decenni è stato discusso in modo intenso e approfondito, e che continua a fornire materia di discussione ancora oggi. Da dove deriva il monoteismo? Ha radici bibliche o greche, e come è stato recepito nella formulazione cristiana? La fede anticotestamentaria è fin dall’inizio monoteista oppure è vero quanto viene portato alla luce dalle ricerche archeologiche, in base alle quali, diversamente dai testi, risulta che solo progressivamente divenne monoteista, come dimostrano, per es., i lavori su Jahwe e Aschera? L’idea monoteistica sarebbe, quindi, un mito per la formazione dell’identità e, in questo caso, come ci si deve comportare, un po’ alla maniera della demitizzazione di Bultmann? O piuttosto considerare che questo mito in quanto tale acquista una dimensione paradigmatica? Monoteismo e politeismo sono un argomento di discussione anche nella filosofia della religione e della cultura: il monoteismo, con il suo carattere di esclusività, può forse indurre al fanatismo, al fondamentalismo, e infine alla violenza, mentre il politeismo può essere più aperto, libero e tollerante? O non si dovrebbe invece problematizzare questa contrapposizione, spesso piuttosto semplificata e sommaria, per ri-pensare la tensione tra unità e molteplicità (l’uno e i molti), se si parte dal fatto che è in gioco l’identità dell’uomo, ovvero dell’uomo che è alla ricerca del suo Sé?

L’intenzione dell’opera è lavorare su queste domande con l’aiuto delle categorie di pensiero di C.G. Jung. Si potrebbe quindi dire che Lucio Carraro intraprende, in un certo senso, una rielaborazione delle molte sfaccettature del nuovo dibattito sul monoteismo, guidato dalla convinzione di penetrare così il nocciolo della questione, là dove religione e cultura si intrecciano con i processi psichici spirituali dell’uomo. In questo senso elabora una nuova prospettiva e la estrinseca.

A tale scopo sviluppa dialoghi costanti con diversi autori come, per es., gli studiosi dell’Antico Testamento Norbert Lohfink, Erich Zenger e Konrad Schmid, con gli studiosi di giudaistica David Bollag e Clemens Thoma, o con gli studiosi della scienza della religione Mircea Eliade, Gustav Mensching, Burkhard Gladigow e Fritz Stolz. Discute in modo esauriente le tesi relative alle valutazioni critiche su monoteismo e politeismo dal punto di vista filosofico-culturale di Jan Assmann e di Odo Marquard. E’ da mettere in risalto ancora che Lucio Carraro si confronta intensivamente con la «Religione della ragione» di Hermann Cohen e la rende fruttuosa per il suo approccio. Ma anche Martin Buber ed Emanuel Lévinas sono costanti compagni filosofici della sua riflessione. Va da sé che Sigmund Freud e Marie-Luise von Franz, e ancor più Carl Gustav Jung svolgano un ruolo determinante.

Questa elencazione appena abbozzata dei partner più importanti in dialogo con Lucio Carraro è una dimostrazione di quanto sia ampio il ventaglio entro cui viene condotta la discussione. Allo stesso tempo il lavoro persegue in modo risoluto il suo proposito che, alla fine, è quello ermeneutico, come è sottolineato già nel primo capitolo: come si possono interpretare i concetti e le idee, in modo che il dire su Dio non rimanga astratto, ma possa diventare per l’uomo compito di vita, in cui in fondo è in gioco il proprio diventare Sé? Ciò che la conclusione lascia intendere ←18 | 19→con le prospettive, offre indicazioni sul futuro, poiché il nucleo della questione è il porsi di fronte alle provocazioni del tempo, attraverso le quali l’uomo nel movimento e nella tensione interiori può maturare.

È senz’altro opportuno abbozzare qui brevemente queste prospettive. All’insegna del «riflesso del trascendente nell’anima umana», per usare le parole di Jung, la psicologia dell’inconscio pone l’uomo al centro e lo indirizza verso il compito etico di assumersi in modo cosciente la responsabilità del suo agire, di azione e pensiero. Questa inversione di prospettiva dalla metafisica all’antropologia, dal mitico all’etica permette anche, nel tempo della desacralizzazione e della secolarizzazione, di apprendere con l’esercizio quale sia il posto della santità, non semplicemente mediante la ri-sacralizzazione dei diversi aspetti della realtà, ma in modo creativo ripensandoli e accertandoli a partire dalle loro origini. In relazione alla domanda su Dio, si ribadisce che occorre rinunciare a voler sapere qualche cosa su Dio, nel senso di un ordinamento e orientamento ultimo che noi, come protagonisti del nostro pensare, dovremmo scorgere. Piuttosto dovremmo lasciar succedere che Dio accada in modo sorprendente nell’idea e che ci provochi a nuove riflessioni. Con questo si apre il compito di sviluppare una genuina tolleranza, che superi sia l’indifferenza sia i molteplici irrigidimenti, in quanto permette l’incontro con il forestiero, nel riconoscimento e nel rispetto, come il Tu, di fronte al quale l’Io si fa Io, come l’autore formula sulla scia di Cohen, Buber e Lévinas.

A questo si connette ancora un ulteriore compito, cioè quello di accogliere il dolore dell’uomo, senza avere alle spalle la prospettiva metafisica di una teodicea consolatoria, che alla fine ci può indurre costantemente a relativizzare o addirittura ad abbellire il dolore. In un ultimo passaggio Carraro tematizza il rapporto tra etica ed estetica: poiché il comportamento etico deve essere sempre creativo ed inventivo, è sempre intimamente connesso con l’arte, in quanto essa indirizza l’etica all’autenticità.

Che alla fine tutto il lavoro si concluda nello stupore, come accentuano le ultime pagine, induce retrospettivamente ancora una volta a stupirsi della via che Lucio Carraro ha attraversato con la sua monografia. È quindi da augurarsi che lo studio trovi lettrici e lettori pronti a incamminarsi con l’autore su questa via appassionante e stimolante.

Pierre Bühler

Professore emerito di Teologia sistematica, in particolare di Ermeneutica e Teologia fondamentale, ed ex-direttore dell’Istituto per l’Ermeneutica e la Filosofia della religione dell’Università di Zurigo.

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Introduzione e formulazione del problema

Fin dall’inizio della discussione le due realtà, quella del monoteismo e quella del politeismo, sono state considerate in opposizione l’una all’altra, valendosi dell’una per comprendere l’altra. In tal modo è stato portato in primo piano l’aspetto dell’unità e della molteplicità. Non sono state però considerate ognuna nella propria specificità.

Goethe stesso, accettando la provocazione derivante da tale opposizione, si è espresso nel seguente modo: “Come poeta e artista sono politeista, panteista invece come naturalista, e uno e l’altro in modo risoluto. Avendo bisogno di un Dio per la mia personalità, come essere morale, anche per questo è già stato provveduto” (nel senso che si ritiene ‘cristiano’) (M. Jacobi, 1846 p. 261). Generalizzando poi la visione, afferma in un appunto scritto a mano: “Come poeta, io sono politeista; come naturalista, io sono panteista; come essere morale, io sono teista; e ho bisogno, per esprimere il mio sentimento, di tutte queste forme” (Warnecke, 1908 p. 15)1.

Nel vivo della discussione, alla svolta del secolo diciannovesimo, si è trovata la formulazione programmatica: “Monoteismo della ragione e del cuore, politeista nell’immaginazione e dell’arte, questo è ciò di cui abbiamo bisogno”2 (cfr. J. Taubes, 1996 p. 340.

A mio parere, con essa non si è colto ancora il nocciolo del tema, poiché viene proposta un’opposizione esclusiva tra ragione e sentimento da una parte e l’immaginazione dall’altra, rimanendone prigionieri.

Negli ultimi decenni, in particolare N. Lohfink per la scienza biblica e A. Brelich per la scienza delle religioni, si è incominciato a considerare e studiare le due realtà ognuna per sé.

A questa nuova prospettiva si sono aggiunti i contributi di scienze come l’archeologia, l’etnologia, l’antropologia e la scienza delle religioni.

Ci si è trovati a confrontarsi con una molteplicità e varietà di espressioni religiose che il Vicino Oriente ha prodotto nel corso dei millenni. Si è costatato, pertanto, che i ‘popoli’ (politeisticamente) e il ‘popolo’ (monoteisticamente) non si possono separare e distinguere in modo netto né culturalmente né spiritualmente.

Per poter definire l’idea monoteistica (o le idee monoteistiche) all’interno delle società politeistiche del Vicino Oriente sono state proposte molteplici formule o concetti, da un monoteismo assoluto (secondo un modello, difficile da definire, di un monoteismo perfetto) fino a un monoteismo evoluzionistico. Di fronte a questi ←21 | 22→tentativi, alla fine è da chiedersi in che misura l’antitesi tra religione politeistica e religione monoteistica, assunta da teorie moderne della religione, sia adatta a determinarne la vera natura (K. Koch, 2003 p. 233).

Né dal punto di vista teoretico né da quello del culto è possibile elaborare caratteri di fondo atti a differenziare i due concetti. Infatti, come sottolinea Koch, sotto il punto di vista teoretico, i passaggi dall’uno all’altro furono, nell’antichità, fluidi e, dal punto di vista del culto, appare determinante il fatto che ogni individuo è chiamato a mettersi in rapporto con la motivazione personale, poiché solo così la vita può arrivare a buon fine (cfr. id. p. 234).

Nonostante i fattori politici, economici e sociali giochino un ruolo importante, essi non possono offrire una spiegazione. A questo livello, sia il politeismo che il monoteismo sono forme di religiosità che mostrano un passaggio fluido dall’una all’altra.

Le considerazioni di Koch sono senz’altro giustificate dal punto di vista della scienza della religione. Occorre però rilevare che in questa visione non viene presa in considerazione la tensione che emerge dal contrasto tra la forma religiosa ebraica e le forme religiose delle società politeistiche, testimoniata dalla Bibbia. Si tratta della tensione che nasce dal processo psichico-spirituale nell’ambito religioso e che è la ‘causa’ dello sviluppo religioso, sia in generale che in particolare, dello sviluppo monoteistico e in modo specifico dell’idea monoteistica dell’Ebraismo.

Al di là della pura descrizione fenomenologica si fa necessario cercare di entrare nel nocciolo del fenomeno, raggiungerne il concetto. Qual è il contenuto? E con quale metodo lo si può raggiungere?

Certo fu la pluralità e la varietà degli Dei dell’Egitto la pietra dello scandalo che condusse alla riforma politico-religiosa di Ecnaton. Come pure, per il pensiero greco, l’idea di ‘Uno’ (Parmenide) fu il tentativo (fuga?) di superare/soggiogare il disagio di fronte alla molteplicità e varietà della realtà. Lo stesso approccio fu assunto dal pensiero cristiano nel corso dei primi secoli per tentare di mitigare il disagio dell’esistenza mediante l’idea della ‘redenzione’ e dell’attesa della salvezza, poste in un futuro definitivo degli ‘ultimi tempi’.

Al contrario, nei tempi moderni si manifesta da più parti il disagio nei confronti del monoteismo e del suo cammino storico culturale-spirituale e socio-politico, a favore di un improbabile politeismo.

Già Hume nella sua opera (1757)3 Dialogo sulla religione naturale4 elogia la tolleranza delle religioni pagane di fronte all’intolleranza fanatica e violenta dei monoteismi, anche se riconosce in essi una forte solidità dottrinale. I monoteismi avviliscono gli esseri umani nella loro dimensione terrena, mentre i politeismi esaltano invece il loro aspetto terreno e naturale.

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Contro quale monoteismo si rivolge Hume con queste osservazioni? Più che un problema teologico-filosofico sembra essere piuttosto una questione culturale. Hume è un empirico e con lui inizia a farsi strada un nuovo metodo scientifico. La visione metafisica del medioevo trova, così, la sua limitazione critica nelle funzioni dell’osservazione e della ricerca sviluppate dalla scienza empirica. Essa è parte e testimonia una trasformazione culturale che tocca ogni ambito della vita.

La discussione politeismo/monoteismo sembra essere più un fenomeno culturale europeo, che deve essere considerato all’interno della trasformazione che ha avuto inizio a partire dalla concezione di Dio, e del mondo, centrata sulla Unità.

I molti temi a cui viene fatto cenno qui sono stati e sono costantemente ripresi dal dibattito fino ai nostri giorni.

Al dibattito sul monoteismo sono correlati fenomeni che hanno segnato profondamente la cultura europea-occidentale, che vengono considerati una ricaduta del monoteismo (F. Stolz, 1996 p. 12).

Poiché il monoteismo ha comportato una visione ‘unitaria’ del mondo in contrasto con la visione molteplice e multiforme del politeismo, viene considerato come la causa di una doppia forma di secolarizzazione. Da una parte la demitizzazione della natura, che ora non è più abitata da divinità, e la razionalità occidentale. Inoltre, sul piano della condotta esistenziale, poiché il monoteismo è visto come l’unica ‘vera religio’, ogni deviazione o divergenza assume il senso di un’eresia o assenza di religione.

Al contesto monoteistico appartiene anche il fenomeno del fondamentalismo. Esso viene visto come reazione all’estremo pluralismo del tempo moderno (S.N. Rosenbaum, 1988 p. 6–10; M. Odermatt, 1991; A. Michaels, 1994 p. 51–57; M. Bienenstock/P. Bühler, 2011).

Quindi appare come una regressione verso la visione monoteistica del mondo, che esprime il bisogno di avere un unico fondamento non solo per la vita religiosa ma anche per la vita socio-politica e per le scienze umane.

In contrasto con questa visione, il politeismo ha mostrato una certa ‘tolleranza’. Ad esso è inerente un processo di trasformazione della struttura delle rappresentazioni mitiche. Al devoto viene lasciata la libertà di scegliere di rivolgersi a questa o a quella divinità, secondo i suoi bisogni e le varie situazioni. Le diversità di carattere religioso non sono, almeno in modo esplicito, motivo di conflitti, anche se gli dèi scendevano in guerra ognuno accanto ai suoi credenti.

Si pone qui il tema della tolleranza. Si attribuisce al politeismo una maggiore tolleranza: affermazione comunque molto discutibile. Infatti il tema della tolleranza-intolleranza nelle società politeistiche viene spostato nell’ambito socio-politico ed etnico.

Il fondamentalismo, d’altro canto, è un ulteriore aspetto della secolarizzazione, poiché tende a eliminare l’aspetto ‘mitico’ della realtà e della conoscenza. L’eliminazione del mitico (che è in primo luogo non di natura intellettuale ma affettivo) a favore della razionalità (teologico-metafisica) lascia l’uomo spoglio e indifeso di fronte al suo bisogno di esperienza religiosa immediata. La rigidità di pensiero e di ←23 | 24→azione del fondamentalismo appare risposta alla ‘nudità’ di miti. Di conseguenza mostra un ulteriore aspetto della sua natura: l’intolleranza.

Sul tema della tolleranza occorre evidenziare che spesso essa viene ridotta al suo aspetto formale, per es. la tendenza nelle società politeistiche di tradurre i nomi delle divinità dapprima da una lingua a un’altra e, in un secondo tempo, da un sistema religioso a un altro. J. Assmann definisce questo processo ‘traducibilità’ (J. Assmann, 2003 p. 32).

Occorre notare, però, che, anche se la traducibilità è indice di un fluire naturale di elementi in società omogenee, non si può parlare ancora della tolleranza come valore etico. Paradossalmente si può parlare di tolleranza come valore soltanto quando alle differenze viene attribuito un valore. In tale processo assume un ruolo specifico lo sviluppo dell’individuo.

L’esperienza del nostro tempo – ma purtroppo si tratta di eventi che si sono ripetuti nella storia – è che ‘in nome di Dio’ vengono ammesse cose terribili. Come detto sopra, già Hume aveva messo il dito nella piaga. La questione è, quindi, se le cosiddette religioni monoteistiche siano intrinsecamente violente, mentre le cosiddette religioni politeistiche intrinsecamente pacifiche (cfr. R. Schieder, 2008 p. 69).5

In ogni caso, fa impressione e provoca turbamento la violenza del linguaggio che viene usata nelle sacre scritture delle religioni abramitiche (cfr. J. Assmann, cap. III).

Spesso si sostiene che il politeismo non abbia conosciuto forme di ‘guerra di religione’, una guerra condotta in nome di Dio. Se è vero (cfr. U. Eco, 2014) che Greci, Romani, Egizi entrarono in guerra non per imporre le loro divinità, ma per problemi di carattere geografico ed economico, è anche vero, però, che a causa dell’identità tra aspetti sociali, politici, economici e religiosi, le divinità scendevano con loro in guerra.

È quindi evidente quanto sia inadeguato un simile confronto. In primo luogo, come detto, perché nel politeismo territorio, città, economia e struttura politica formano un’unità sacra con il mondo degli dèi. D’altro canto, dietro le cosiddette guerre di religione (oggi come allora le crociate, il colonialismo, ecc.) si muovono interessi economici e culturali.

Per il nostro tempo moderno s’impone la questione di come la visione ‘monoteistica’ sia presente e operi nella globalizzazione politica ed economica e nella comunicazione, tanto da rimpiazzare l’idea monoteistica religiosa.

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Sarà quindi necessario differenziare i concetti di ‘religione’ e ‘cultura’ e il loro rapporto.

In Europa la teologia cristiana entrò fin dai primi secoli in una discussione filosofica sul tema dell’unità e molteplicità, trovando una soluzione nel dogma della trinità, in cui unità e molteplicità, l’essere in sé e l’aspetto dinamico, poterono essere salvaguardati. Ciò che però venne dissociato dalla soggettività fu l’esperienza religiosa come esperienza individuale, a favore di una ‘verità oggettiva metafisica’ che occorre accettare e imitare. Su questa via – è la critica rivolta al monoteismo – non solo si provoca una demitizzazione della dimensione ‘divina’ dell’universo e dell’uomo, ma anche un’alienazione dell’uomo, della sua storicità.

Allora ci si dovrà chiedere quanto le esperienze religiose possano essere comprese con e in categorie filosofiche e se concetti metafisici elaborati filosoficamente siano in grado di comprendere tutta la varietà della realtà oggettiva e soggettiva. In questo il monoteismo sembra inadeguato mentre il politeismo sembra essere a casa propria.

In seguito agli eventi della storia recente sorge una questione ulteriore. Il monoteismo mediante il suo Dio, pensato monoteisticamente, si è appropriato totalmente della storia umana (‘Dio’ come unico signore della storia) con la conseguenza che, quando ‘Dio’ scomparve dalla storia (‘Dio è morto’), l’uomo cadde in un vuoto e cercò di salvarsi mediante ideologie. D’altra parte, le ideologie sono derivati e conseguenze di una concezione della storia come ‘progresso inarrestabile verso la libertà mediante l’emancipazione rivoluzionaria’ (O. Marquard, v. cap. IV). Le ideologie e tutti gli –ismi stanno allora laicamente e secolarmente al posto del monoteismo?

Infine, nel dibattito sul monoteismo si sono inserite negli ultimi decenni la filosofia e la teologia femministe, che hanno dato voce al proprio disagio formulando le proprie istanze sul tema della presenza di una figura femminile accanto a JAHWE e, quindi, sul Femminile di Dio in generale. Punto di partenza è stato il dispregio della donna, quotidianamente vissuto, come espressione di uno sviluppo culturale globale nella direzione di un patriarcato incline a deteriorare la natura, la corporalità e la sensibilità. Questo è stato ricollegato spesso al nome del Dio dei cieli onnipotente e maschile. Come reazione, le femministe che si ispirano al modello ‘matriarcale’ si collegarono “intellettualmente e spiritualmente alla tradizione del ‘Divino Femminile’” (M.-Th. Wacker, 1991 p. 25).

L’elemento tipico dell’interpretazione del movimento femminista è che nell’evoluzione storica il monoteismo si sia imposto contro la primordiale religione della Dea e del suo figlio-amante Jahwe, da cui si è successivamente sviluppato il concetto di Dio ebraico-cristiano occidentale. La Bibbia ebraica rappresenta quindi il documento della religione della Dea e della sua estinzione (cfr. anche: H. Göttner-Abendroth, 1984 e 1983, p. 171–195; L. Irigaray, 1989 p. 93–120; Carol Christ, 1985 p. 6–20; Gerda Weiler, 1989 e 1990).

Questa interpretazione rappresenta comunque anche il paradigma in base al quale si è sviluppata una forma di monoteismo all’interno delle religioni politeistiche, secondo la sequenza mitica ‘Grande Madre-figlio-eroe’.

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Nella sua posizione critica, M.-Th. Wacker coglie l’elemento centrale di questa visione: si tratta “in fondo del tentativo di creare uno spazio per il sacro con il richiamarsi alla religione utopico-arcaica della Dea e nella dimensione dell’estetica e della sensibilità, in cui le donne siano protette, irraggiungibili, divine – quasi un grido disperato, il rovescio di un rifiuto realmente sperimentato di una vita al femminile autodeterminata” (M.-Th. Wacker, 1991 p. 26)6

L’intenzione è di aggiungere una ‘correzione’ all’idea astratta di Dio presentata dalla Trinità in favore della dimensione storica, di una maggiore vicinanza alla vita, di cui in generale il Femminile è attestazione.7

Rimane comunque aperta la questione se la dinamica che il mito della Madre-Figlio-Eroe comporta e che ha preso la figura del Dio supremo (maschile) come Ecnaton in Egitto o del Dio maschile del cristianesimo, possa corrispondere al Dio della Bibbia ebraica, e soprattutto se tale mito possa spiegare l’idea monoteistica.

Il tema della ‘religione’ in generale e, in particolare, del monoteismo è stato affrontato da S. Freud nelle sue opere L’avvenire di un’illusione (1927), Il disagio della civiltà (1930), L’uomo Mosè e la religione monoteistica (1939). Da parte sua, C.G. Jung ha attribuito un’importanza particolare alla religione nello sviluppo psichico. Egli ha dovuto comunque apportare una profonda revisione al concetto di ‘religione’, per poterla considerare come fenomeno psichico. Religione, idee e comportamenti religiosi sono un tema centrale della psicologia di Jung, poiché esse nascono dall’anima e l’anima è l’‘oggetto’ dell’osservazione e dell’analisi psicologica.

Details

Pages
410
Year
2022
ISBN (PDF)
9783631869505
ISBN (ePUB)
9783631869512
ISBN (MOBI)
9783631869529
ISBN (Hardcover)
9783631868331
DOI
10.3726/b19215
Language
Italian
Publication date
2021 (December)
Published
Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2022. 410 p.

Biographical notes

Lucio Carraro (Author)

MTh Lucio Carraro Nato nel 1947 in Italia (Venezia) Studio di Teologia con particolare riferimento alla Scienza Biblica, Giudaistica e Scienze della Religione a Padova (Italia), Lucerna e Zurigo (Svizzera). Studio di Psicologia a Padova (Italia) e allo C.G. Jung-Institut di Zurigo. Attività professionale come Psicoterapeuta riconosciuto dal Dipartimento della Sanità, in studio privato a Lucerna (Svizzera).

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Title: Da Dio Padre al Dio dei Padri Il mito ebraico come paradigma della dinamica del Sé (C.G. Jung)