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(De)scrivere Roma nell'Ottocento: alla ricerca del museo delle radici culturali europee

by Angelo Pagliardini (Volume editor) Alexandra Vranceanu (Volume editor)
©2020 Edited Collection 208 Pages

Summary

In che modo la descrizione delle opere d’arte e dei monumenti dell’Urbe, negli scrittori dell’Ottocento, ha portato alla formazione di una sorta di museo europeo ideale? Accanto alla ricerca delle caratteristiche proprie di ogni cultura nazionale, i viaggiatori che intraprendevano il Grand Tour concepivano anche una sorta di carta culturale dell’Europa. Su questa carta, Roma costituiva una destinazione importante, divenuta un punto ineludibile fin dal secolo precedente, soprattutto dopo che Winckelmann aveva presentato la Città Eterna come tappa essenziale per la conoscenza del bello ideale.

Table Of Contents

  • Copertina
  • Titolo
  • Copyright
  • Sull’autore
  • Sul libro
  • Questa edizione in formato eBook può essere citata
  • Indice
  • Alexandra Vranceanu Pagliardini, Angelo Pagliardini: Introduzione
  • Letizia Norci Cagiano: Stendhal cittadino europeo in visita ai Musei Vaticani
  • Sandra Vlasta: Le descrizioni di opere d’arte come critica sociale e formazione d’identità in Pictures from Italy (1846) di Charles Dickens e Italienisches Bilderbuch (1847) di Fanny Lewald
  • Liviu Papadima: Romanian Travellers Discovering Rome in the First Half of the 19th Century
  • Cristina Sărăcuț: Ekphrastic Description and Erudite Commentary in Alexandru Odobescu’s Work
  • Alexandra Vranceanu Pagliardini: Winckelmann e Roma negli scrittori romeni dell’Ottocento: Asachi, Odobescu, Zamfirescu
  • Silvia Tatti: La Roma di Leopardi
  • Angelo Pagliardini: Capitali del passato e del presente: rappresentazioni artistiche del potere fra Roma e Milano nei Sonetti romaneschi di Belli
  • Laura Fournier-Finocchiaro: Il mito di Roma di Carducci, tra patrimonio italiano e latinità
  • Alessandro Boccolini: La Roma di Edmondo De Amicis
  • Chiara Licameli: Roma vista dai romani. Immagini della Città Eterna nell’Archivio della famiglia Gnoli
  • Stefano Pifferi: Tra descrizione e distorsione ottica: le “impressioni” romane di Cesare Malpica
  • Chiara Tavella: «40 giorni […], è troppo poco per goderne». Roma in un Grand Tour del 1803
  • Profili degli autori

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Alexandra Vranceanu Pagliardini, Angelo Pagliardini

Introduzione

Questo volume accoglie gli atti del colloquio tenutosi il 12 e il 13 aprile 2018 a Roma, all’Istituto Storico Austriaco e all’Accademia di Romania. Il punto di partenza del convegno era discutere in che modo la descrizione delle opere d’arte e dei monumenti dell’Urbe, negli scrittori europei dell’Ottocento, ha portato alla formazione di una sorta di museo ideale, inteso come somma di riferimenti al patrimonio della cultura classica, ma anche come comune serbatoio di storie, temi, motivi mitologici, letterari e plastici, destinati a circolare nelle culture europee. L’identità europea si è formata prevalentemente nel XIX secolo, quando, accanto alla ricerca delle caratteristiche proprie di ogni cultura nazionale, i viaggiatori che intraprendevano il Grand Tour concepivano anche una sorta di carta culturale dell’Europa. Su questa carta, Roma costituiva una destinazione importante, divenuta un punto ineludibile fin dal secolo precedente, soprattutto dopo che Winckelmann aveva presetato Roma come una tappa essenziale per la conoscenza del bello ideale.

Ma la città subisce molte prove nel corso dell’Ottocento e, da spazio emblematico per lo studio delle reliquie della classicità, fondamento della cultura europea, diventa teatro delle lotte degli italiani per averla come capitale. Nel presente volume di atti si tenta di rispondere ad alcune domande che riguardano la varietà di rappresentazioni che assume l’Urbe lungo il secolo, inoltre, poiché il modo in cui gli scrittori europei hanno descritto Roma è un tema lungamente approfondito, ci siamo proposti di focalizzare la discussione sulle opere d’arte e sui monumenti.

Dai saggi qui raccolti risulta che il riferimento ai monumenti classici è un segno di appartenenza a una stessa «famiglia di spiriti» europea, tanto per gli italiani che per gli altri scrittori europei. Tuttavia esiste un’enorme differenza di prospettiva fra il modo in cui vedono l’Urbe gli scrittori italiani e gli altri. Se la visione specifica del XVIII secolo era in parte sopravvissuta negli scrittori europei, ed essi continuavano a cercare a Roma soprattutto le vestigia della classicità, la prospettiva degli italiani è più sfaccettata e il passato classico viene posto in ombra da altri aspetti, identitari o sociali.

Nel suo contributo «Stendhal cittadino europeo in visita ai Musei Vaticani», Letizia Norci Cagiano mostra in che modo lo scrittore francese descrive, in Promenades dans Rome, il Museo Pio Clementino e il Braccio Nuovo del Vaticano. ←7 | 8→Stendhal conosceva già molte delle opere ivi esposte da Parigi, dove erano state esposte nel Louvre di Napoleone. Letizia Norci Cagiano osserva che lo scrittore le guarda secondo tre diverse prospettive che si alternano e che corrispondono alle tre «anime» dello scrittore: «quella dell’uomo romantico, moderno», «un’altra [che] sembra invece radicata in quella tradizione classica che aveva condizionato la prima formazione del giovane Beyle», e poi una terza anima che «resta pervicacemente attaccata al passato recente e glorioso della Francia di Napoleone». Il dialogo fra queste tre prospettive differenti lo porta a descrivere il museo secondo una dinamica dialogica, in cui i diversi punti di vista si alternano. Un aspetto essenziale osservato da Letizia Norci Cagiano è il ruolo centrale, nella configurazione di un canone artistico, giocato dall’insieme delle opere che Napoleone ha sottratto all’Italia ed esposto al Louvre, e che dopo la sua caduta sono state riportate nelle collezioni o nei musei di appartenenza. Queste opere hanno portato alla formazione di un gusto dominante nel XIX secolo.

Di tutt’altro genere è la visione di Roma dei due scrittori studiati da Sandra Vlasta in «Le descrizioni d’opere d’arte come critica sociale e formazione d’identità in Pictures from Italy (1846) di Charles Dickens e Italienisches Bilderbuch (1847) di Fanny Lewald». Sandra Vlasta osserva che Dickens guarda a Roma secondo una prospettiva sociale e che tende a cancellare i confini fra arte e realtà, vedendo nelle persone che incontra per strada i possibili modelli dei quadri ammirati nel museo. Lo scrittore inglese teorizza «the new picturesque» proponendo di accordare un interesse maggiore «al contesto sociale ed essere meno indifferente alle sofferenze delle persone». Per quanto riguarda l’austriaca Fanny Lewald, la scrittrice guarda le opere d’arte dei musei italiani che visita cercando di farsi opinioni personali ed è «un’osservatrice critica». Per lei, che non si sente impressionata dalla bellezza della statua di Venere, tanto lodata nelle guide, è essenziale una modalità moderna, fresca, di vedere queste opere, e non vuole usare la guida se non come mezzo che offre criteri estetici pronti per l’uso. Un’osservazione molto importante che emerge nell’articolo di Sandra Vlasta è il fatto che, nel caso di questi due scrittori, il viaggio in Italia riveste un ruolo formativo dal punto di vista nazionale e «l’analisi della società civile e la critica delle circostanze sociali svolgono un ruolo di primo piano» in entrambe le opere analizzate.

Liviu Papadima, nel suo saggio «Romanian travellers Discovering Rome in the First Half of the 19th Century», parte dall’osservazione che la maggior parte degli scrittori romeni erano stati attratti da altre capitali, come Vienna e Parigi. Dopo aver passato in rassegna i motivi che hanno portato Filimon, Alecsandri e Golescu a visitare l’Italia, ma non Roma, si sofferma sulle opere dei due scrittori che hanno lasciato testimonianze su Roma, Gheorghe Asachi e Ion Codru Drăgușanu. Liviu Papadima osserva che per Asachi Roma è in primo luogo una città ←8 | 9→identitaria, in quanto giunge nell’Urbe sulle orme degli antenati romani, mentre Codru Drăgușanu è un turista moderno. Dato che, tuttavia, per entrambi gli scrittori, la Colonna di Traiano, che raffigura le guerre daciche, e quindi l’etnogenesi del popolo romeno, gioca un ruolo centrale, viene analizzata l’evoluzione di questa rappresentazione.

Anche il saggio di Cristina Sărăcuț, «Ekphrastic Description and Erudite Commentary in Alexandru Odobescu’s Work», prende le mosse dall’importanza della figura di Traiano per i romeni, ma la studiosa analizza il modo in cui appare un altro monumento di Roma, l’Arco di Costantino, nel saggio di Odobescu. Partendo dall’osservazione che al tempo di Odobescu i bassorilievi del monumento erano considerati opere di spoglio di epoca traianea, il che viene oggi confutato, Sărăcuț mostra come Odobescu li descrive trasformando l’immagine di Traiano in quella di un principe ideale. Una osservazione essenziale nel saggio di Cristina Saracuț è che Odobescu trasforma tale descrizione di Traiano in una occasione per orientare l’attenzione del viaggiatore romeno a Roma verso un altro simbolo nazionale, che potrebbe aggiungersi all’immaginario romeno accanto alla Colonna di Traiano.

Alexandra Vranceanu Pagliardini, in «Winckelmann e Roma negli scrittori romeni dell’Ottocento: Asachi, Odobescu, Zamfirescu», osserva che gli scrittori romeni rimangono fino alla fine del secolo sotto l’influsso delle teorie estetiche dello storico tedesco. Il fatto che Asachi, Odobescu e Zamfirescu fossero convinti, come Winckelmann, che a Roma si trova «il tesoro del’antichità» emerge tanto dalla poesie e dagli articoli di Asachi, quanto dal Corso di archeologia di Odobescu e dal romanzo Lydda di Zamfirescu. Alexandra Vranceanu Pagliardini prende in considerazione alcuni aspetti delle descrizioni di monumenti e opere d’arte in questi tre scrittori e osserva che tutti e tre si soffermano su certi monumenti che Winckelmann aveva trovato rappresentativi per il bello ideale. L’idea centrale del contributo è che i tre scrittori, seguaci di un classicismo rivisitato secondo una prospettiva ottocentesca, vedono in Roma il museo di tale classicismo e rifiutano qualsiasi riferimento alla realtà contemporanea. Da ciò deriva il risultato che nei tre autori l’immagine di Roma è «sospesa nel tempo, un quadro ideale, con minime variazioni dall’uno all’altro».

Il secondo nucleo di interesse del convegno riguarda il punto di vista degli scrittori italiani e negli altri contributi del volume si discute in che misura, anche per gli scrittori italiani, il viaggio a Roma era centrale per definire la propria identità culturale. Certamente, per gli scrittori italiani analizzati, Roma non era soltanto e in primo luogo un «museo» della cultura europea, ma anche, in qualche modo, un simbolo specifico della cultura nazionale. Se nella Roma napoleonica dei primi dell’Ottocento la romanità antica costituiva un’eredità da far ←9 | 10→rivivere, il mito sarebbe ritornato in seguito, dopo l’unificazione, con la terza Roma. Inoltre per gli scrittori italiani si è rivelato rilevante il ruolo svolto dalla descrizione delle opere d’arte nel processo di costruzione dell’identità nazionale.

In «Leopardi e Roma», Silvia Tatti conduce una complessa analisi dei differenti modi in cui il poeta ha visto la città nel corso degli anni. Dopo aver osservato che in gioventù Leopardi descrive Roma in tono critico e «considera di non aver tratto nessun piacere dalle grandezze di Roma e dallo spettacolo dei suoi monumenti», mentre vede «come un esilio» il soggiorno nella città, successivamente la sua prospettiva si fa più sfaccettata. Silvia Tatti mostra quindi l’influenza profonda che ha avuto, sull’immagine che si andava facendo Leopardi di Roma, la lettura del romanzo Corinne di Madame de Staël. Un altro fattore essenziale nella ridefinizione della visione leopardiana dell’Urbe è costituito dall’ammirazione per Canova. Silvia Tatti osserva che per Leopardi «Roma è una cartina al tornasole e un contesto ideale per riflettere sul rapporto tra passato e presente», «un museo non solo di reperti artistici e archeologici, ma anche un condensato della storia umana» dell’Italia.

Nel suo saggio «Capitali del passato e del presente: rappresentazioni artistiche del potere fra Roma e Milano nei Sonetti romaneschi di Belli» Angelo Pagliardini si sofferma sul modo in cui il poeta romano ribalta la prospettiva tradizionale secondo la quale si rappresenta Roma nella pittura delle vedute, dando la posizione centrale ai popolani romani e trasformando i celebri monumenti che attraevano i turisti in oggetti quasi comici. Angelo Pagliardini analizza le critiche sociali nei Sonetti di Belli, mostrando «la mancata armonizzazione fra il piano attuale della topografia cittadina, testimone delle ingiustizie morali e materiali, e quello monumentale, ammirato nel Grand Tour e ancorato nel ricordo di Roma classica». Mettendo a fuoco l’immagine del narratore popolano romano, che reinventa le storie dei monumenti, Angelo Pagliardini evidenzia in particolare la drammatizzazione del rapporto fra il visitatore incolto e il romano altrettanto incolto, che gli racconta storie difficili da credere, ma a cui invece si da credito. I Sonetti di Belli diventano così una fonte preziosa per mostrare come veniva spiegata (e reinventata) Roma nell’Ottocento dalle guide romane. L’idea centrale del contributo è il modo in cui Belli costruisce un «museo dei monumenti romani», in cui la plebe romana prende la parola e descrive i propri monumenti secondo una prospettiva propria.

Details

Pages
208
Publication Year
2020
ISBN (PDF)
9783631819531
ISBN (ePUB)
9783631819548
ISBN (MOBI)
9783631819555
ISBN (Hardcover)
9783631809761
DOI
10.3726/b16847
Language
Italian
Publication date
2020 (March)
Keywords
Letteratura dell'Ottocento Grand Tour Arte e letteratura Letteratura di viaggio Letteratura romena Letteratura francese Letteratura inglese Letteratura austriaca Letteratura italiana Letteratura dialettale
Published
Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Warszawa, Wien, 2020. 208 p.

Biographical notes

Angelo Pagliardini (Volume editor) Alexandra Vranceanu (Volume editor)

Alexandra Vranceanu Pagliardini, professoressa associata di letteratura comparata a Bucarest, ha insegnato anche in Francia e in Italia. Campi di ricerca: letteratura romena ed europea; relazione testo-immagine in letteratura. Angelo Pagliardini insegna letteratura italiana a Innsbruck. Si è occupato di letteratura italiana dell’Ottocento e di letteratura nell’epoca delle migrazioni.

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